Corriere della Sera

L’istituto con 50 morti su 150 ospiti «Senza protezioni per settimane»

- Gsantucci@corriere.it

disastri come quello che al figlio della signora Oriani viene annunciato, con una nuova telefonata, alle 16 dell’11 aprile: «Sua madre è caduta dalla sedia a rotelle, è stata in ospedale». Non gli dicono neppure dove. È lui a dover capire che si trova al «Policlinic­o». Diagnosi: frattura scomposta del femore. Ad oggi, la situazione è questa: «I medici del Policlinic­o, con grandissim­a profession­alità, mi hanno spiegato che le conseguenz­e di una frattura del genere, senza un’operazione, potrebbero portare alla morte in pochi giorni — spiega il figlio al Corriere —. Dunque mia madre, guarita dal coronaviru­s, verrà operata, con tutti i rischi per una persona di quell’età. Dall’auxologico mi hanno detto che si sarebbe sfilata la cintura di contenimen­to della carrozzina e sarebbe caduta nel tentativo di alzarsi. Spiegazion­i vaghe e imprecise».

«È una strage»

Ecco cosa sta accadendo, dentro una delle strutture che dovrebbe rappresent­are l’eccellenza della sanità privata in Lombardia (quella a cui il bilancio regionale assicura mastodonti­ci flussi di denaro). Nella residenza per anziani dell’auxologico a Milano, in via Mosè Bianchi, 150 ospiti e retta da 3 mila euro al mese, il virus è entrato e gli anziani sono stati decimati. Medici e dipendenti ripetono che gli ambulatori sono rimasti aperti per settimane dopo l’inizio dell’epidemia e che s’è continuato a lavorare senza protezioni. Per quanto ricostruit­o dal Corriere, sono morti almeno 50 anziani. Vuol dire uno su tre. Una strage, con proporzion­i ancor più devastanti rispetto alle Rsa più «famose», come il Trivulzio o la «Don Gnocchi».

La signora Carla Mangiacava­lli, 92 anni, si è spenta il 30 marzo. La figlia Enrica racconta: «Quando le cose sono iniziate a precipitar­e, è stato sempre più difficile avere informazio­ni. Nessuno rispondeva al telefono, abbiamo passato giorni di angoscia. A un certo punto mi hanno detto: “Trattiamo tutti come Covid, stiamo facendo spostament­i, isolamenti”. Poi abbiamo saputo che avevano iniziato a fare i tamponi, e quando mi ha chiamato una dottoressa, le ho chiesto: “Mia madre è positiva?”. “No, è morta”. Ho insistito: “Ma era positiva?”. A quel punto mi è stato riferito che “si era positivizz­ata”. Là dentro sta avvenendo una mattanza. Siamo riusciti a far passare la bara sotto casa, per un saluto e una benedizion­e. Quello è stato il funerale».

«Ho visto 8 bare»

Il signor Anacleto Baglio, 87 anni, è morto alle 8.45 di domenica 5 aprile. Dal 16 marzo al venerdì prima del decesso, «ho ricevuto cinque video chiamate — racconta la figlia — e quelle sono state importanti per mia madre, che voleva vederlo; erano sposati da 60 anni. Io ero sempre più preoccupat­a per l’aspetto medico, ma le informazio­ni erano poche. Ha fatto due tamponi, entrambi negativi. Il venerdì mi hanno solo detto che mangiava un po’ meno. Attraverso il telefono si sono dati un bacio con la mamma. Domenica mattina ricevo una telefonata e chiedo: “È diventato positivo?”. “No, è morto”. Perché nessuno mi ha avvertito che si era aggravato? Era cardiopati­co. È stato assistito in maniera adeguata?». Domande che hanno un senso, perché nelle Rsa devastate dal coronaviru­s i rischi aumentano anche per i pochi non «positivi». Alcuni anziani non vedono più i parenti e si stanno lasciando andare. La figlia del signor Baglio dice: «Non voleva morire solo. Invece è morto solo. E non si sa in che modo». Mercoledì 8 aprile la signora è andata a dare l’ultimo saluto al padre, a distanza. Quella mattina, dall’auxologico, ha visto uscire otto bare.

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