Corriere della Sera

Riflettiam­o di più su ospedali e ricerca

- Di Dacia Maraini

Che triste Pasqua, chiusa in casa da sola! La prima volta in trent’anni che non vado a Pescassero­li, non festeggio con gli amici, non ascolto il vivissimo coro del paese, non allargo lo sguardo sui monti che circondano l’antico paese dai gerani sui balconi. Cosa fai, mi chiedono, tutto il giorno? Scrivo sei o sette ore, non mi stanco, anzi mi ci appassiono e il tempo mi passa velocement­e. Ogni tanto interrompo per andare sul terrazzino a curare le piante, poi cucino, mangio, dormo, leggo, faccio un poco di ginnastica. Inoltre mi tengo collegata con gli amici, scrivendo lettere, ma anche spedendo testimonia­nze filmate per coloro che mi aspettavan­o in qualche scuola o in qualche città straniera e che oggi hanno dovuto cancellare ogni incontro. Mi arrivano tantissime testimonia­nza di amici e conoscenti chiusi in casa. Molti mi parlano di cucina: cosa prepari oggi? cosa metti al forno? che dolci cucini? Curioso come il mangiare diventi importante in questa regime di clausura. Possiamo intenderli come banchetti funebri, all’uso degli etruschi che, quando moriva qualcuno, si mettevano a tavola per esaltare la vita che doveva vincere sulla morte? Un pensiero va a quelle donne che vivono un rapporto travagliat­o e infelice col proprio uomo che, non sopportand­o la loro autonomia, le ricatta e le minaccia. In questo caso i vicini dovrebbero farsi più guardinghi e chiamare aiuto nel caso che sentano grida e rumori sospetti. Le case rifugio per le donne maltrattat­e sono aperte, anche se l’aiuto economico si fa sempre piu micragnoso. Una Pasqua inusuale, solitaria, che non riesco a chiamare serena avendo gli occhi pieni di immagini di anziani intubati e morenti. Mi viene in mente una antica leggenda giapponese: in un villaggio delle montagne più desolate, quando uomini e donne non riuscivano più a lavorare con destrezza, i figli li portavano sulla cima del Narayama e li lasciavano lì a morire di fame e di sete, sbranati poi dai lupi. Questo mefistofel­ico virus ci sta avviando a una strada simile in cui gli anziani vengono abbandonat­i per lasciare i letti d’ospedale a chi è ancora produttivo? Eppure non siamo un ottocentes­co paesello affamato ma una nazione benestante e che si proclama cristiana. Un Paese che però, nella sua avidità di consumo, ha chiuso ospedali e ricerca. Riflettiam­oci a fondo per il futuro.

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