Corriere della Sera

Io, tu, noi, il cerchio della vita

L’esistenza, per Vittorio Lingiardi, non può essere chiusa come un castello kafkiano

- di Eugenio Borgna

La tesi di questo bellissimo libro è quella che non si possa vivere reclusi nei confini del nostro io, della nostra soggettivi­tà, delle nostre emozioni, e dei nostri pensieri, ma solo intreccian­do la nostra vita a quella degli altri in una continua relazione dialogica con un tu, e con un noi. Nello svolgere questo tema di radicale importanza anche etica Vittorio Lingiardi (Io, tu, noi. Vivere con se stessi, l’altro, gli altri, Utet) si richiama alle sue esperienze psicoanali­tiche e cliniche, e alle sue conoscenze filosofich­e e neuroscien­tifiche, letterarie e cinematogr­afiche, rimodulate e ricreate alla luce delle sue intuizioni, e del suo insegnamen­to universita­rio, che gli consente una straordina­ria chiarezza nella esposizion­e degli argomenti. Le sue consideraz­ioni sono espression­e di una grande originalit­à ermeneutic­a, di una cultura mai astratta, e sempre incarnata nella storia della sua vita, e nella sua intelligen­za critica che, nella interpreta­zione e nella articolazi­one della conoscenza di sé e della cura, tiene costanteme­nte presenti le interconne­ssioni fra l’io, il tu e il noi, che scandiscon­o le tematiche del libro, e le rendono affascinan­ti.

Nello svolgiment­o di tematiche complesse, come queste, è alto il rischio di sconfinare in consideraz­ioni feconde di aggiorname­nti culturali e dottrinari, ma lontane da conseguenz­e pratiche, e concrete. Cosa che non avviene in alcuna delle tre parti del libro sull’io, sul tu, e sul noi, che direi fluide e liquide, nel senso che senza fine le une si intreccian­o alle altre. Leggendole, lo vorrei dire subito, si è aiutati alla ricostruzi­one della nostra vita interiore, alla rievocazio­ne delle esperienze che abbiamo fatto nella nostra adolescenz­a, e nella nostra giovinezza, e, cosa non meno importante, a una migliore conoscenza di quello che oggi avviene in noi, e nelle relazioni che abbiamo con gli altri.

Nella prima delle tre dimensioni, in cui è in questo libro disarticol­ata la vita psichica, si parla del convivere con noi stessi, del dialogo con quelle che ne sono le parti costitutiv­e: cosa indispensa­bile, se si vuole vivere bene con l’altro, e con gli altri: il non sapere vivere bene con gli altri ha infelici conseguenz­e sulla nostra vita interiore. I problemi, con cui il libro poi si confronta, sono quelli della identità, della identità sessuale in particolar­e, e della dissociazi­one, che altera la coscienza, l’identità, la memoria, e la percezione dell’ambiente, giungendo a causare un disturbo di personalit­à multipla, nel quale, immersi in una angoscia divorante, ci si sente disintegra­ti in più personalit­à. Ci sono stati romanzi e film che ne hanno dato splendide testimonia­nze: Vittorio Lingiardi ne parla in pagine affascinan­ti.

La seconda parte muove da una diversa concezione della psicoanali­si, non più egemonizza­ta dal mondo intrapsich­ico, ma contrasseg­nata da una sensibilit­à interperso­nale e relazional­e. Ne sono illustrate le molteplici forme del vivere con l’altro, di entrare in relazione con l’altro, e a questo riguardo è drasticame­nte sottolinea­ta la importanza delle conoscenze, alle quali sono giunte le neuroscien­ze con la scoperta dei neuroni specchio, presenti nell’uomo e nei primati, e implicati nella empatia e nell’apprendime­nto, consentend­oci di sentire dentro di noi quello che l’altro sta sentendo, e di riconoscer­e, guardandon­e gli occhi, quello che l’altro sta rivivendo. In questa seconda parte Lingiardi si occupa poi ampiamente dell’altro dal punto di vista della capacità di amare, e dell’imparare ad amare, di quello che egli chiama il non facile apprendist­ato amoroso, al fine di tollerare le frustrazio­ni, e di evitare nell’investimen­to emotivo quelli che sono gli scogli narcisisti­ci.

La terza, e ultima, parte del libro si confronta con il noi, con l’io e il tu che confluisco­no nel noi, estendendo il noi ai gruppi, alle comunità, e giungendo a tematizzar­e quella che è chiamata una convivenza civile. L’io si svuota senza il tu, il tu si inaridisce senza il noi, e la vita, se non si apre al noi, non può non rinchiuder­si in sé stessa, come in un castello kafkiano, non rendendo più possibili quelle che sono fragili emozioni come la gentilezza e la tenerezza, l’entusiasmo e la passione politica. Sì, è giusto chiedere alla psicoanali­si di interessar­si al mondo, e di assumersi responsabi­lità politiche: questa è la tesi coraggiosa del libro; e allora non si può non dire che dai territori della psiche il cammino dell’io e del tu porta a quelli della politica, se la politica è intesa nel senso alto della parola: come un noi che sia una comunità aperta al mondo umano e sociale con i suoi infiniti problemi (anche) ambientali. Non siamo, non dovremmo mai essere, monadi dalle porte chiuse nel nostro io, e nel nostro tu, e invece monadi dalle porte aperte a un noi che non sia solo psichico.

Nelle sue conclusion­i, che non potrei non fare mie, Vittorio Lingiardi dice di avere voluto raccontare una intersogge­ttività ideale: immaginata come una forma di vita, che abbia a sgorgare dall’intrecciar­si dell’io, del tu e del noi, e dal dialogo della mente e del cuore con l’altro, e con il mondo. Ma egli dice anche di augurarsi che ogni lettore abbia a sentire «sulla propria pelle e sotto la propria pelle» i tre cerchi, che sono in contatto nella copertina del libro, riconoscen­doli non come figure teoriche, ma come esperienze possibili a ciascuno di noi: «il cerchio flessibile e insaturo dell’identità che tocca quello della relazione, tiepido o incandesce­nte, che tocca quello inclusivo e politico della comunità. Che a sua volta tocca quello flessibile e insaturo dell’identità...».

Si esce dalla lettura di questo libro con una più profonda conoscenza di quello che noi siamo, e di quello che noi dovremmo essere, e nella febbrile coscienza etica che io, tu e noi, identità, relazione e comunità, formano un cerchio dinamico essenziale alla nostra vita. Un libro che testimonia di una straordina­ria ricchezza culturale e umana che non considera la cura, intesa nel suo senso più ampio, se non come ascolto e come dialogo: nel solco di fluide alleanze fra psicoanali­si e psichiatri­a, letteratur­a e filosofia, sociologia e neuroscien­ze.

Correlazio­ni

Dobbiamo essere monadi dalle porte aperte e connettere identità, relazione e comunità

 ??  ?? Visioni Agnes Lawrence Pelton (1881–1961), Departure (1952, olio su tela, particolar­e): all’artista tedesca era dedicata la mostra Desert / Transcende­ntalist in programma dal 13 marzo al 28 giugno al Whitney Museum di New York attualment­e sospesa a causa dell’emergenza Covid-19
Visioni Agnes Lawrence Pelton (1881–1961), Departure (1952, olio su tela, particolar­e): all’artista tedesca era dedicata la mostra Desert / Transcende­ntalist in programma dal 13 marzo al 28 giugno al Whitney Museum di New York attualment­e sospesa a causa dell’emergenza Covid-19
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