La rivincita di Levante
«Tikibombom» vince nelle radio «Brano sulle nostre fragilità perché nessuno si salva da solo»
«N on mi sento un numero 1, ma quando guardo i numeri che mi danno ragione l’orgoglio si triplica». Per tre settimane Levante ha visto la sua «Tikibombom», la canzone che ha portato a Sanremo, essere la più ascoltata in radio (da venerdì è al numero 4, prima degli italiani, dati Earone). È il singolo festivaliero che sta avendo vita più lunga nella programmazione dei network, una bella vittoria per lei. «E dire che in gara si era piazzata dodicesima. A questo punto mi sarebbe piaciuto arrivare ultima per poter fare una vascorossata...», ride al telefono la cantautrice siculo-torinese.
La sua analisi post Sanremo prosegue: «Non sono andata al festival con l’intenzione di vincere. Anzi. Ci sono andata con tutti gli elementi pronti per farmi uno sgambetto: un titolo fuorviante che fa pensare
Il profilo
● Levante, il cui vero nome è Claudia Lagona, è nata a Caltagirone, in Sicilia, il 23 maggio 1987. Il suo primo album è uscito nel 2014, «Manuale distruzione»
● Il suo ultimo disco, il quarto, «Magmamemoria», è uscito nel 2019. Lo scorso febbraio ha partecipato al Festival di Sanremo con «Tikibombom» a una cosa latina, un testo non facile... Speravo nel dopo, ma quello che è arrivato è comunque stata una bella sorpresa». La canzone è una sorta di lettera a quattro personaggi, scelti fra le persone fragili, diverse. «Forse il freak della classe, quello che andava in classe con gli strass e gli davano della femminuccia. C’è una forte comunità LGBT che mi segue e che si rivista in quel personaggio. Anche l’animale stanco ha avuto il suo ruolo... ma credo che l’appiglio per molti sia stato il “noi” del ritornello. Nessuno si salva da solo, lo stiamo capendo ora con il covid. Dobbiamo essere collettività».
Claudia Lagona, questo il suo vero nome, sta passando la «reclusione» a Torino. Da sola. «La solitudine è una cara amica e la vivo con serenità. Nonostante fuori dalla finestra il mondo sia crudele». Si è data una routine per sopravvivere psicologicamente. «Ho fissato delle regole: sveglia presto, colazione, trucco e poi mi vesto. L’abbrutimento è dietro l’angolo e va evitato. Ho ripreso la pittura, una passione che avevo accantonato: faccio degli acquerelli con ritratti di donne. Uso una carta sottile che non andrebbe bene per questa tecnica perché si accartoccia ma mi piace l’effetto».
C’è spazio anche per la lettura in queste giornate di solitudine. «Sto leggendo Shantaram di Gregory David Roberts: una mazzata da 1200 pagine che avevo abbandonato un anno fa per gli impegni legati alla scrittura e alla pubblicazione di Magmamemoria. Sto arrivando alla fine e ho speso fiumi di lacrime per questa storia vera di un uomo che ne vede di tutti i colori, ma in un modo o nell’altro riesce sempre a sopravvivere».
Levante non riposa sugli allori di «Tikibombom», ma guarda al suo futuro musicale. «Sto scrivendo per il nuovo disco. Un filo rosso mi è già venuto in mente, ma è ancora in fase embrionale. Devo ancora fare chiarezza. Pensavo che questo stato di isolamento forzato fosse simile a quello che ti imponi quando scrivi un disco nuovo. E invece ho scoperto che c’è una grande differenza. Non riesco a essere creativa come speravo all’inizio di questa reclusione. L’immaginazione ha bisogno di vita e contatto con gli altri per riuscire a nutrirsi».
Proprio in questi giorni lo scorso anno lanciava il progetto «Magmamemoria» con la prima canzone, «Andrà tutto bene». Quel titolo è diventato uno degli hashtag di questa emergenza. «Era una frase di speranza che arrivava alla fine di un elenco disastroso. Quello che sta accadendo mi ha fatto capire quello che allora avevo immaginato: la gente ha bisogno di dirsi che andrà bene, che c’è speranza». Ottimismo o è certa di questo futuro positivo? «Andrà tutto bene, assolutamente. Come in Shantaram. Non è la cosa peggiore che questo mondo ha vissuto negli ultimi 100 anni. Credo solo che dobbiamo avere più cura degli altri e quindi di noi stessi: mettiamo guanti e mascherina quando usciamo, rispettiamo i comportamenti richiesti. Anche se, purtroppo, dal balcone vedo che con lo sbocciare della primavera c’è troppa gente in giro». Si è già appuntata la prima cosa da fare quando si andrà verso la normalità. «Un pranzo o una cena con la mia famiglia: mamma, nonna e sorelle sono a pochi chilometri ma non ci vediamo da un mese. Questo “dopo” però mi preoccupa un po’. Cosa faremo quando ci diranno che è tornato il momento di riabbracciarci? Avremo paura?».
La reclusione
«Non riesco a essere creativa come speravo L’immaginazione ha bisogno di vita»