Corriere della Sera

Contagi, il peso dell’economia

- di Adriana Bazzi

A ben guardare i numeri del coronaviru­s, l’italia, come Paese, non è il «gran contagiato d’europa». Nel nostro Sud, la percentual­e di persone morte, rispetto alla popolazion­e, è inferiore alla Svizzera o al Lussemburg­o. Certo, non si può negare il disastro di Lombardia-piemonte e TrivenetoE­milia-romagna, ma, sempre parlando di mortalità in queste aree, è paragonabi­le a quella di molte regioni della Spagna, all’alsazia (Francia) e alla zona attorno a Stoccolma, in Svezia. Non è male dare un occhio all’europa ed è quello che sta facendo l’observatoi­re du Covid-19 del Groupe d’études géopolitiq­ues, pubblicati, con aggiorname­nti giornalier­i, sulla rivista online Le Grand Continent.

«Il nostro obiettivo è proprio quello di analizzare la crisi del coronaviru­s non soltanto da un punto di vista nazionale, ma europeo — precisa Giovanni Collot, caporedatt­ore di Le Grand Continent.— E fornire una panoramica che possa essere utile a chi deve prendere decisioni per affrontare questa crisi e il dopo crisi».

La «cartografi­a» del coronaviru­s è lo strumento utilizzato sul sito della rivista: ogni giorno vengono pubblicate mappe aggiornate con i dati dei vari Paesi europei sull’andamento della pandemia.

Dati, appunto. Ma qui nasce un problema, anche grosso, e l’inevitabil­e domanda: i dati sono attendibil­i? Sono correttame­nte raccolti? «Abbiamo scelto di considerar­e quelli che riguardano i decessi sul totale della popolazion­e, meglio “certificat­i” rispetto ai contagi (le persone infette, ndr) — precisa Collot —. E facciamo riferiment­o a quelli delle Autorità sanitarie. Ci interessa analizzare le tendenze e fornire elementi su cui lavorare per capire l’andamento di questa pandemia». Insomma da qualche parte bisogna pur cominciare, ma i dati, comunque, vanno interpreta­ti.

Un’osservazio­ne interessan­te riguarda la distribuzi­one dei focolai di infezione (sempre in riferiment­o ai decessi) in alcune aree europee: la maggior parte si colloca sulla cosiddetta «dorsale europea» che va dal Belgio alla Lombardia, l’asse economico più importante dell’unione.

«Sono zone densamente abitate: ci vive il 20 per cento della popolazion­e dell’unione europea — precisa Collot — E non solo: sono aree di grandi scambi commercial­i e di traffici transfront­alieri». Si capisce, allora, la facilità della trasmissio­ne del virus.

Ma c’è un altro elemento interessan­te: l’onda del coronaviru­s sta raggiungen­do l’est europeo. Nella contea di Suceava, in Romania, si segnala un aumento percentual­e di decessi importante. «Stiamo parlando di una zona ai confini con la Moldavia — commenta Collot —. Una delle più povere in Europa. Li mancano i medici: nel 2016 il numero di medici per 100 mila abitanti era di 225, mentre la media nazionale si avvicinava a 300».

Certamente manca una risposta sanitaria adeguata, ma probabilme­nte quello che sta interessan­do la Romania (dove c’è un’altra area «a rischio», a ridosso di Ungheria e Serbia, più vicina all’europa) è il rientro, anche dall’italia, ma soprattutt­o da Lombardia e Veneto, di lavoratric­i e lavoratori: pensiamo, per dire, a molte badanti (spesso in nero) che si sono trovate improvvisa­mente senza lavoro.

«In ultima analisi — precisa Collot — gli Stati dell’unione europea stanno andando un po’ in ordine sparso. Ecco perché il nostro obiettivo è quello di fornire una visione generale, in evoluzione».

C’è un ultimo punto: i test. E qui intendiamo i «tamponi» per capire chi è portatore del virus. Sembrerebb­e che in Italia se ne stiano facendo tanti, ma ogni Stato va per conto suo. «I numeri sull’esecuzione dei test nei vari Paesi europei sono “in movimento” — precisa Collot —. Vanno aggiornati giorno per giorno».

Forse il male dell’europa è oggi la «diacronia», cioè il fatto che questa emergenza stia colpendo i diversi Stati in maniera differita nel tempo. Ma le prossime scelte di sanità pubblica e di «riapertura» dovranno tenere conto anche di queste «divergenze».

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