In casa ospitavano i bimbi di Chernobyl
Lo chiamavano Alì Era il pugile buono
Se ne sono andati insieme, anche se sono morti distanti. Il 3 aprile Rosa Luponi, 76 anni, all’ospedale di Piario, nella bergamasca. Tre giorni dopo il marito Virgilio Ravasio, 79 anni, in una residenza sanitaria assistita di Scanzorosciate, a 30 chilometri. Lui, ricorda l’eco di Bergamo, era stato per 18 anni agente di polizia locale, e lei aveva lavorato come infermiera nell’ospedale del paese. Quello di accudire il prossimo doveva essere un istinto che li accomunava perché, oltre a due figli e a due nipoti, si erano presi cura anche di alcune bambine bielorusse, ospitate perché respirassero aria migliore di quella lasciata dall’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl, 34 anni fa. Il Covid-19 ha colpito duro la famiglia Ravasio, portando via in poco più di venti giorni altri tre fratelli di Virgilio: Sandro, 76 anni, Liliana, 70, e Celestina, 80.
Lo chiamavano «Alì», come Muhammad, il leggendario Cassius Clay, ed era stato anche lui un campione tra i pesi massimi, vincendo 29 incontri su 34 e lasciando 15 volte i suoi avversari al tappeto per ko. Angelo Rottoli, 61 anni, aveva raggiunto l’apice della sua carriera di pugile nel 1987, l’anno in cui aveva vinto il titolo di Campione Intercontinentale Wbc nei pesi massimi-leggeri. Nella stessa categoria si era aggiudicato quell’anno anche la cintura di Campione europeo, conservandola però solo per alcuni mesi. Le foto in bianco e nero dei suoi esordi giovanili, alla fine degli anni 70, mostrano un ragazzo relativamente magro, dai folti ricci neri e una grinta da finto-cattivo. «Era lui il bello e impossibile della canzone di Gianna Nannini?» si è chiesto Riccardo Crivelli, della Gazzetta dello Sport, ricordando il loro incontro.