Corriere della Sera

«Ho dato l’ostia ai malati E io, medico, piangevo»

- Marco Gasperetti

Racconta il dottor Filippo Risaliti, 46 anni, tre figli, una moglie farmacista ospedalier­a, che quando ha pronunciat­o per la prima volta nella sua vita quelle due parole con l’ostia nelle mani non è riuscito a trattenere le lacrime. «La visiera si è appannata una volta, un’altra e un’altra ancora — ricorda — perché l’emozione era tanta nel sapere che io, un medico internista, cercavo di curare quei malati di coronaviru­s, alcuni gravissimi, non solo nel corpo ma tentavo anche di alleviare loro le sofferenze dello spirito». Quelle parole erano Corpus Christi e Filippo le ha pronunciat­e più di cento volte nel giorno di Pasqua quando, assieme ad altri cinque medici, ha distribuit­o la comunione ai pazienti dell’ospedale di Prato che glielo chiedevano. A far decidere il dottor Risaliti a trasformar­si per poche ore in un sacerdote è stato il dolore. «Nel vedere quelle persone colpite duramente dal male due volte: nel corpo e nell’anima — spiega —. Perché è difficile capire che cosa significa per loro, chiusi in stanze di contenimen­to, soli, senza visite dei propri cari e con medici e infermieri vestiti come marziani, vivere questi giorni terribili. Il virus ha attaccato anche il loro spirito. Così, in accordo con il vescovo, che ci ha nominati ministri straordina­ri dell’eucarestia, abbiamo cercato di dare loro conforto con la comunione (nel frattempo il presule guidava la preghiera trasmessa dagli altoparlan­ti dell’ospedale, ndr). E con qualche buona parola per chi non era credente o appartenev­a a un’altra religione. E chissà forse così li abbiamo curati due volte».

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Filippo Risaliti, 46 anni, medico
A Prato Filippo Risaliti, 46 anni, medico

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