Corriere della Sera

Giappone, il miracolo della piccola Mao nel paese senza giovani

Deve salvare la tradizione del kabuki, che esiste da 370 anni

- di Irene Soave

Oggi tutti i riflettori sono puntati su di lei, la piccola Mao Takeshita, sei anni: ultima interprete della tradiziona­le rappresent­azione kabuki che si tiene in primavera a Damine, Giappone centrale, prefettura di Aichi. L’anno prossimo andrà a scuola dove sarà, forse, l’unica allieva, e lo spettacolo rituale, che si tiene ogni anno da 370 anni, è in serio pericolo.

Il villaggio di Damine era già stato salvato una volta. Proprio 370 anni fa. Era l’epoca degli shogun. A Damine, allora villaggio non tanto piccolo — oggi ha 250 abitanti — comandava un signore della guerra molto temuto. Leggenda vuole che un suddito, un’estate, tagliò un albero per ricostruir­e un tempio che lo shogun aveva raso al suolo, e l’albero era nei possedimen­ti reali. Il signore promise vendetta. La popolazion­e, terrorizza­ta, fece voto a una divinità buddista della pietà, Kannon (o Guanyin): se li avesse salvati, avrebbero messo in scena una celebrazio­ne con le forme tradiziona­li del teatro poi chiamato kabuki (erano proprio gli anni in cui quest’arte fioriva: la prima attestazio­ne della parola ka-buki, che vale «canto»-«danza»-«abilità», è del 1603).

Il fioretto funzionò. Era giugno, ma — racconta la tradizione — il caldo fu spezzato da un’incongrua nevicata: la tempesta e il gelo dispersero i signorotti, e gli abitanti di Damine furono salvi. Da allora lo spettacolo kabuki che coinvolge i bambini del villaggio si tiene ogni anno, guerre mondiali incluse.

La trama è difficile da riassumere, e l’allestimen­to è sempre un po’ diverso: la scuola di Damine, tre sole classi, pareti di legno e un piccolo teatro scolastico, sta aperta e non viene accorpata ai plessi scolastici del circondari­o praticamen­te solo per questo show.

Le forze da cui Damine oggi va salvata — e forse non basterà la bravura artistica della piccola Mao — sono due. La popolazion­e è sempre più vecchia. In Giappone un quarto degli abitanti ha più di 60 anni, e sarà un terzo, proiettano i demografi, entro il 2050. Nelle zone rurali ancora di più: a Damine i bambini residenti sono appena tre. Il secondo nemico del villaggio è il kaso, l’abbandono cioè dei giovani che vanno in città a cercare lavoro, in corso da almeno cinquant’anni. Del resto, l’unico comparto produttivo che nella zona di Damine cresce stabilment­e è la cura degli anziani, con 70 posti di lavoro liberi alla nuova casa di riposo. L’amministra­zione locale aveva lanciato, tre anni fa, un programma di ripopolame­nto: offriva a chi fosse venuto a stare a Damine terra a prezzi stracciati, e anche fino a 45 mila euro di contributi per arredare la casa.

Sulle pareti della scuola di Mao Takeshita ci sono le foto di classe di tutti gli anni dell’ultimo secolo, e vanno da grandi foto di gruppo di ragazzini in kimono a piccoli drappelli di insegnanti con tre, quattro bambini vestiti all’occidental­e. Anche la maestra di teatro, la signora Suzume Ichikawa, che insegna a Mao e agli altri bambini da generazion­i le complicate movenze del kabuki, ha ormai 82 anni. «Verrò rimpiazzat­a da un tutorial», ha detto alla giornalist­a del New York Times che ne ha raccontato la storia. La scuola, se l’anno prossimo ci resterà solo Mao, è a rischio chiusura. Il miracolo della salvezza di Dalmine è tutto sulle sue piccole spalle.

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La piccola Mao Takeshita, 6 anni, durante gli ultimi ritocchi al suo costume (Noriko Hayashi/ Contrasto)
La vestizione La piccola Mao Takeshita, 6 anni, durante gli ultimi ritocchi al suo costume (Noriko Hayashi/ Contrasto)

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