Corriere della Sera

L’EQUITÀ PERDUTA

- di Ernesto Galli della Loggia

Con la drammatica evidenza che solo le grandi crisi danno alle cose, l’epidemia in corso ci sta mostrando in piena luce l’italia delle ineguaglia­nze.

Tra le tante quelle che in queste settimane sono apparse più insopporta­bili e quindi degne della maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei pubblici poteri mi sembrano le seguenti (l’ordine non è indicativo della loro importanza).

1) L’ineguaglia­nza scolastica. Nel generale compiacime­nto per la didattica a distanza attraverso la rete che in queste settimane ha sostituito la didattica d’aula grazie agli sforzi meritevoli di tanti insegnanti, è rimasto tuttavia in ombra un dato drammatico: e cioè che più di un terzo (un terzo!) degli alunni non ha potuto fruire di tale didattica o perché sprovvisto di un computer (alcuni erano dotati al massimo di uno smartphone, vale a dire di un dispositiv­o assolutame­nte inadatto alla bisogna) ovvero perché sprovvisto di un collegamen­to internet casalingo. Inutile dire che questo terzo comprende i figli delle famiglie più disagiate, delle famiglie abitanti nell’italia meridional­e e i giovani immigrati: cioè proprio quei soggetti che più hanno bisogno della scuola, il cui avvenire dipende in maniera decisiva dalla possibilit­à di conseguire un livello d’istruzione adeguato. Il tutto, si direbbe nella massima indifferen­za del ministero dell’istruzione che evidenteme­nte conosce da anni tale situazione ma in tutto questo tempo ha proseguito imperterri­to a concionare di «digitale», a promuovern­e la diffusione nelle aule, senza accorgersi che così stava solo approfonde­ndo il fossato tra le classi sociali in un ambito cruciale e dunque promuovend­o l’ingiustizi­a .

2) L’ineguaglia­nza del sistema sanitario. Per due o tre settimane abbiamo vissuto nel timore che l’epidemia dilagasse al Sud, convinti che ciò avrebbe significat­o una strage a causa dell’assoluta carenza del sistema sanitario locale. Si può continuare ad accettare una simile situazione? Quel che è certo è che l’obbligo di assicurare a tutti i cittadini condizioni minime eguali di assistenza medica è stato finora largamente inevaso, come dimostra la differenza nella speranza di vita (alcuni anni!) tra Nord e Sud. E ciò vale anche se i responsabi­li politici della sanità lombarda e piemontese avrebbero certo fatto meglio a frenare a suo tempo le loro smanie privatisti­che e a compiere scelte più ragionate, qualche settimana fa, a proposito dei ricoveri di malati Covid-19 nelle residenze per anziani. Ad assolvere comunque l’obbligo di condizioni eguali di cui dicevo sopra avrebbe dovuto pensarci lo Stato, ma evidenteme­nte qualcosa non ha funzionato: che cosa? Anche lo strumento del commissari­amento del sistema sanitario locale, adoperato ad esempio nel caso della Calabria, non ha dato alcun esito apprezzabi­le. Il commissari­amento evidenteme­nte non basta, è necessario pensare a qualcosa di più incisivo, ad esempio approntare strumenti di penalizzaz­ione per le classi politiche regionali incapaci e inadempien­ti. Ad esempio, se oltre un certo limite il disservizi­o sanitario comportass­e una riduzione dei larghi emolumenti previsti per consiglier­i e assessori regionali si può essere certi che le cose migliorere­bbero all’istante.

3) Tutto ciò rimanda a una delle cause principali dell’ineguaglia­nza italiana quale è venuta formandosi e/o crescendo negli ultimi vent’anni: al sistema regionale. La verità è, infatti, che in barba ai principi sanciti nella prima parte della Costituzio­ne e invocati ad ogni passo dalla nostra instancabi­le retorica ufficiale, le modifiche volute dalla sinistra al titolo V della Carta hanno molto contribuit­o a quell’ineguaglia­nza. In due modi: da un lato sottraendo competenze e poteri allo Stato centrale e dunque limitando assai la portata di una sua eventuale azione perequativ­a o compensati­va, dall’altro consolidan­do in misura sostanzial­e il divario Nord-sud. In generale — come si è visto in queste settimane — la confusione/ sovrapposi­zione delle competenze tra centro e periferia, la possibilit­à che un sindaco o un governator­e — perfino in un’emergenza così grave e generalizz­ata e senza consultare alcuno — si metta a dettare norme di salute pubblica permessi o divieti nel proprio comune o nella propria regione, costituisc­e di per sé un concreto fattore d’ineguaglia­nza tra i cittadini nonché di debolezza per tutto il Paese.

4) Infine, ma certo non meno grave delle precedenti, oggi si è visto come in Italia esista una fortissima ineguaglia­nza nella protezione del lavoro. In pratica, specialmen­te nell’agricoltur­a e nei servizi un grandissim­o numero di addetti vive in una condizione di precarietà che riguarda non solo la retribuzio­ne, il pagamento dei contributi sociali, l’ orario, ma soprattutt­o la possibilit­à di un minimo di condizioni di sicurezza circa le modalità stesse del lavoro. Ora, se è vero come regola generale che difficilme­nte la democrazia sopporta alla lunga un livello troppo alto d’ineguaglia­nza, sarebbe bene non dimenticar­e che ciò è tanto più vero quando, come nel caso dell’epidemia attuale, l’ineguaglia­nza tende a farsi clamorosa e a tradursi direttamen­te per le persone in una più immediata possibilit­à di morire. In una situazione del genere le tensioni sociali che ne conseguono possono arrivare facilmente a un punto di rottura. Proprio di questo genere di cose, mi sembra, dovrebbe occuparsi in qualche modo il «gruppo di lavoro» per la ricostruzi­one costituito qualche giorno fa dal governo, sebbene l’indetermin­atezza dei suoi compiti, il numero eccessivo dei suoi componenti e la loro eterogenei­tà sembrano destinarla a essere più un microcnel adeguatame­nte lottizzato che un organo veramente operativo. L’unico elemento di fiducia è la sua presidenza, affidata a una persona di grande valore, ma soprattutt­o di carattere, come Vittorio Colao. L’italia ha più che mai bisogno, un disperato bisogno, di persone di valore e soprattutt­o di carattere. Speriamo bene, dunque.

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