Addio a Sepúlveda, voce dei dimenticati
Il coronavirus si è portato via lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, autore di «Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare». Voce dei dimenticati, se ne è andato a 70 anni dopo un mese e mezzo di infezione.
Gli ultimi 48 giorni dei 70 anni di vita di Luis Sepúlveda sono cominciati nel pomeriggio del 29 febbraio scorso, quando lo scrittore ha varcato sulle sue gambe l’ingresso dell’ospedale universitario centrale delle Asturie, a Oviedo. Tosse e febbre stavano aggravando il raffreddore di cui aveva iniziato a soffrire la settimana prima a Povoa de Varzim, in Portogallo, vicino a Porto, dove partecipava al festival Correntes d’éscritas con un altro centinaio di autori internazionali. Non era stato segnalato fino a quel momento alcun caso di contagio da Covid-19 in Portogallo e nemmeno nelle Asturie.
Il giorno prima lo scrittore era stato visitato al Sanatorio Covadonga di Gijón, la città portuale dove si era stabilito con la moglie, la poetessa Carmen Yáñez, dal 1997. Quel sabato sera però, entrambi febbricitanti, erano stati trattenuti in osservazione a Oviedo. La polmonite cominciava a togliergli il fiato. La sera del primo marzo la notizia della diagnosi ha attraversato il globo: il coronavirus aveva attaccato l’autore di alcuni dei miromanzi e racconti del panorama internazionale degli ultimi trent’anni. Prima di essere intubato e isolato dal mondo, Sepúlveda ha ricevuto centinaia di telefonate, email e messaggi sul suo cellulare. Non è riuscito a rispondere a tutti: «Vedo che respiro meglio — ha fatto in tempo a rassicurare un giornalista di “El Comercio” —.
Mi stanno facendo tanti esami e molto rigorosi. Ho un trattamento eccellente». Poi nessuno ha più sentito la sua voce. «Arriverà il momento in cui potrà rispondere», ripeteva sua moglie per lui.
Non tutto sembrava perduto, anzi. Carmen Yáñez, 66 anni, ricoverata nello stesso ospedale ma in un altro reparto, è guarita dalla febbre, sengliori za strascichi e senza che gli esami le confermassero l’incursione del virus. Così il 18 marzo è tornata a casa ad aspettare il suo «Lucho», a vagheggiare i dettagli della festa da preparare quando si sarebbero ritrovati. La vita e gli anni duri della dittatura di Augusto Pinochet li avevano già divisi, dopo le loro prime nozze, nel 1971, e la nascita del figlio
Carlos. Avevano divorziato, preso strade diverse e lontane, ma il destino li aveva riuniti in Germania, nel 1996, reduci da altri matrimoni falliti, pronti al definitivo e reciproco «sì».
Nessuno avrebbe immaginato che un virus potesse separarli di nuovo e così presto. Nessuno ha ancora capito dove si sia infettato Sepúlveda, quale fra i tanti abbracci e strette di mano della sua tournée portoghese gli sia stato fatale. Un mese è passato tra miglioramenti e peggioramenti improvvisi. Carmen non perdeva l’ottimismo: non è in coma, spiegava, è sedato farmacologicamente e i medici sono incoraggianti. Ma alle 10 e 18 di ieri si sono dovuti arrendere. Lucho se n’era andato.
L’ultimo compleanno, il settantesimo, resterà quello celebrato a Milano, lo scorso ottobre, assieme a Guanda, sua casa editrice italiana, in attesa di consegnare il nuovo libro, intitolato Agua mala; e, in quell’occasione, ne aveva anticipato i temi alla sua traduttrice, Ilide Carmignani: pagine dai forti connotati ambientalisti con cui sfidare la grande industria sudamericana della pesca e dell’allevamento e i sovranismi marcati da radicalismo religioso.
Il presidente di Guanda, Luigi Brioschi, ricorda il legame con quell’autore speciale e «la generosità dell’amico», soprattutto: «In quasi trent’anni, dalla scoperta e dalla pubblicazione del Vecchio che leggeva romanzi d’amore fino a oggi, alla vigilia cioè della consegna del nuovo romanzo, la vicenda che ha felicemente legato Sepúlveda alla Guanda, e che certo ha segnato questa casa editrice, si è sempre nutrita di un dialogo a tutto campo e mai rituale. La sua stessa consulenza editoriale, tutta tesa alla scoperta e alla valorizzazione di nuovi o ancor sconosciuti talenti, ha sempre avuto un carattere affettivo, appassionato, partecipe. E l’amicizia, che potrebbe sembrare il tratto più privato, più estraneo all’attività di lavoro — prosegue Brioschi — è stata spesso suggeritrice di scelte editoriali fortunate. Mi sono spesso chiesto da dove venisse questo forte attaccamento di Sepúlveda agli amici, questo culto, quasi, dell’amicizia. Può darsi che questa fosse una vocazione o un’inclinazione naturale, ma credo abbia molto contato l’aver perduto, in certi anni, tanti amici, tanti compagni».