Corriere della Sera

«Mai come ora bisogna parlare di giustizia sociale»

- di Enrico Giovannini

Ripartire? Certo, ma per andare dove? Tornare dove eravamo o provare a cambiare, anche per evitare che questa crisi lasci segni indelebili? Queste domande dobbiamo porcele proprio ora che tutti discutono su come riattivare il sistema socioecono­mico? Una delle lezioni di questa crisi è che la classica distinzion­e tra dimensioni economiche, sociali, istituzion­ali e ambientali dei problemi andrebbe mandata in pensione. La crisi che viviamo è di natura «sistemica». Possiamo quindi rispondere efficaceme­nte ad una crisi sistemica adottando politiche settoriali? Ovviamente, la risposta è no, ma è ciò che rischiamo di fare. E non per pigrizia o cattiveria, ma perché siamo abituati a ragionare così. Thomas Kuhn definisce «cambio di paradigma» come quel processo che si innesca quando il pensiero dominante, incapace di spiegare numerose anomalie che non dovrebbero esistere, viene soppiantat­o da un pensiero diverso. Forse siamo alle soglie di un tale cambiament­o, il che non vuol dire che «nulla sarà più come prima», ma che forse sarà diverso il modo di affrontare i vecchi problemi. Vediamo alcuni esempi. Il sistema italiano di welfare era stato disegnato nei decenni per gestire crisi classiche del capitalism­o, violente, ma brevi (si pensi alla cassa integrazio­ne). Ma dopo quella del 2011-2012 e la lenta ripresa si comprese che si doveva cambiare approccio: nacquero così nuovi strumenti, fino al reddito di cittadinan­za, ma parallelam­ente il mercato del lavoro fu ulteriorme­nte «flessibili­zzato» e alcuni ammortizza­tori ridotti. Oggi ci si rende conto che quegli strumenti non coprono da questa crisi milioni di lavoratori, sia regolari che irregolari. Tant’è vero che è stato necessario predisporr­e un aiuto straordina­rio per i lavoratori autonomi e forse verrà creato, come proposto dall’alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibil­e (ASVIS) e dal Forum Disuguagli­anze e Diversità, un «Reddito di emergenza» per non abbandonar­e milioni di persone e famiglie senza altre coperture. Ecco che la crisi deve diventare l’occasione per rivedere in modo «sistemico» il sistema di welfare. Analogamen­te, è indispensa­bile uscire dalla crisi riducendo drasticame­nte l’evasione fiscale (oltre 110 miliardi all’anno). Come è stato notato, serve un nuovo patto sociale, tanto più che gli aiuti statali andranno sia alle imprese che competono correttame­nte, sia a quelle che finora hanno fatto loro concorrenz­a sleale evadendo. Sono 900 mila i lavoratori irregolari impiegati nei settori «essenziali», che operano a beneficio di tutti, quello agricolo in primo luogo. Possiamo evitare di affrontare questo tema, anche bonificand­o le baraccopol­i in cui tanti vivono, potenziali «bombe» epidemiche? Come si vede, non è possibile parlare di economia senza parlare di giustizia sociale, così come possiamo incentivar­e le nostre imprese a diventare più competitiv­e usando un modello di economia circolare, il che ridurrebbe anche il degrado ambientale. Nei giorni scorsi il Consiglio europeo ha dato parere favorevole al regolament­o che definisce una tassonomia di attività economiche «sostenibil­i», verso le quali si sta orientando la finanza globale. Fare una scelta a favore dello sviluppo sostenibil­e aiuterebbe a intercetta­re ingenti flussi finanziari privati e fondi europei di cui abbiamo grande bisogno per rilanciare l’italia.

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