Corriere della Sera

I decessi in ospedale sono ritornati ai livelli pre-virus «Un po’ di luce»

- Di Andrea Pasqualett­o (Afp)

D opo il grande buio, dopo l’ecatombe, ecco una luce. All’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, l’avamposto italiano della battaglia al virus, c’è finalmente un numero «nero» che viene letto con soddisfazi­one. È quello dei decessi quotidiani, sceso addirittur­a sotto i livelli della normalità, cioè del periodo che ha preceduto l’epidemia. «Negli ultimi otto giorni siamo a una media di due virgola qualcosa al giorno, contro il circa 2,5 dell’epoca pre-covid. Mi sembra un dato molto importante anche perché la discesa riguarda un po’ tutto, gli arrivi, i ricoverati, le “intensive”... Diciamo che ora possiamo respirare», annota con un certo sollievo Ferdinando Luca Lorini, primario del reparto di terapia intensiva dell’ospedale bergamasco, finito di colpo al centro della peggiore crisi sanitaria della sua storia.

Dietro ci sono le settimane terribili in cui questa struttura pubblica veniva letteralme­nte presa d’assalto dai malati: sono arrivati ad avere 620 ricoverati di coronaviru­s, dei quali cento a lottare fra la vita e la morte e 17-18 vittime quotidiane, con una punta di 19. Così è andata nel più grande reparto di rianimazio­ne dopo Wuhan, allestito a tempo di record per cercare una qualche salvezza.

«Ora sono circa 250, più una settantina in area critica. Praticamen­te la metà. Sembrano passati anni e invece tutto è successo in poche settimane. Dallo zero di quaranta giorni fa ai 600 di marzo ai 300 di adesso». C’è un dato che non significa un granché dal punto di vista statistico ma che a un valore simbolico: zero decessi in un giorno, registrati questa settimana.

L’urgano forse è passato. «Ma attenzione perché è ancora presto per sciogliere le briglie. Questo è davvero il risultato dell’isolamento sociale che quindi non può essere abbandonat­o».

Respira dunque l’ospedale, respirano i dottori, gli infermieri. «A questi ritmi non avremmo potuto resistere oltre. Siamo arrivati a superare i cento arrivi al giorno di polmoniti gravi, un dato impression­ante, dei quali l’80 per cento veniva ricoverato. Ora sono tra i 25 e i 35 e molti possono tornare a casa mentre i ricoverati non sono più così gravi. Di notte avevamo quattro

In prima linea Ferdinando Luca Lorini (in alto), primario e direttore del Dipartimen­to di Area critica del Papa Giovanni XXIII, e Fabiano Di Marco, primario di pneumologi­a

medici per reparto, ora due e siamo comunque ancora sopra lo standard dei tempi pre covid», fa due conti il professor Fabiano Di Marco, docente universita­rio di malattie dell’apparato respirator­io e primario di pneumologi­a al Giovanni XXIII.

Di Marco ha ancora negli occhi il giorno in cui tutto precipitò. Era domenica primo marzo: «Uno scenario di guerra, pazienti ovunque, gravi, rantolanti. Ora non c’è più neppure quel rumore di ossigeno, quel fluire che si sentiva prima nei reparti. C’è un grande silenzio. Di solito è una cosa negativa il silenzio ma in questo caso proprio no. Stiamo anche smontando alcuni reparti Covid, li ricommutia­mo anche se non torneremo più come prima. Dobbiamo pensare a una zona grigia costante che ci consentirà di adattare l’ospedale alle richieste del territorio. Da qui in avanti, però, sarà certamente più semplice».

Non dimentiche­rà mai certe morti: «Soprattutt­o quelle inattese, gente che stava per tornare a casa, che vedeva la fine ed è stata tradita magari da un’embolia. Difficile accettarlo, difficile dirlo ai parenti». Lorini sospira invece al pensiero del suo collega chirurgo: «Ci ho lavorato per vent’anni insieme e ora ce l’ho in terapia intensiva. È sempre qui, intubato, sedato, immobile».

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Un operatore sanitario del reparto Covid-19 dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo
Protetto Un operatore sanitario del reparto Covid-19 dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo
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