La linea di Mattarella contro la crisi strisciante
«Chi tratta con la Ue senza un voto delle Camere è fuorilegge. Mattarella lo sa»… sottinteso: si faccia dunque sentire. Matteo Salvini insiste nella guerriglia di logoramento al governo Conte, giocando stavolta sul ricorso al Mes, e richiama in causa un presidente della Repubblica che ha ormai quasi consumato ogni riserva di pazienza. Certo, la legge 234 del 2012 evocata dal capo leghista prevede la partecipazione del Parlamento alla definizione della politica europea dell’italia: la conosce il capo dello Stato come il premier. Il quale però sembra voler aggirare l’ostacolo di un immediato responso dell’aula — che oggi spaccherebbe la maggioranza — presentandosi alle assemblee lunedì solo per una «informativa» sulla lotta al coronavirus, posticipando il confronto e sottoponendo l’intero pacchetto al voto dopo il meeting informale del 23 aprile con i partner di Bruxelles. Nella speranza di spuntare le migliori condizioni di accesso al Mes, tali da rendere difficile un voto contrario.
Questioni di tattica, giocate sul filo del diritto parlamentare. Questioni nelle quali Mattarella non vuole esser coinvolto, preso com’è a seguire — con grande preoccupazione — uno scontro politico che non tiene in alcun conto i suoi appelli per
Unità e coesione che non ci sono Lo scontro politico in atto non tiene in alcun conto gli appelli del presidente per «l’unità e la coesione»
«l’unità e la coesione». Aveva chiesto l’impegno di tutti, «soggetti politici, di maggioranza e di opposizione, soggetti sociali e governi dei territori», e deve fare i conti con quotidiane polemiche e rotture, mentre dentro la stessa alleanza giallorossa crescono le tensioni.
Uno scenario di fibrillazioni continue, che mina alla radice ogni progetto di ripartenza economica che Mattarella considera la precondizione per la tenuta sociale del Paese. E che pare studiato solo per alimentare una crisi strisciante e far cadere Conte. Qualcuno ne discute da giorni, almanaccando addirittura su un ruolo del Quirinale, che avrebbe suggerito di mettere Vittorio Colao alla guida della task force per la fase due, tenendolo come riserva per Palazzo Chigi. Una fake news: quel nome l’ha fatto il premier al Colle, quando ha informato il presidente della sua iniziativa.
Altrettanto inverosimile l’ipotesi di quanti, insistendo sul fatto che Conte sia presto costretto ad arrendersi, azzardano un’ipotesi di Draghi premier per un «esecutivo degli ottimati», vagheggiando in alternativa un ritorno alle urne in autunno. Sul Colle non vogliono neppur sentirne parlare. Sono esercizi da salotto politico, che non si misurano con la realtà.
Prima di tornare al voto, infatti, servono un referendum e una legge elettorale: chi li farebbe? E anche per cambiare in corsa il capo del governo (se mai ci si riuscisse) occorrerebbero almeno due-tre mesi di consultazioni e negoziati. Una follia pensarci, mentre il virus infuria.