Corriere della Sera

Voce degli oppressi e dei dimenticat­i Lucho, il «fuorilegge» con la vocazione del narratore

Attivista per i diritti umani, ecologista, esule, poeta, regista. È scomparso ieri a 70 anni. Affetto da coronaviru­s, da oltre un mese era ricoverato a Oviedo, in Spagna. Letteratur­a e militanza politica hanno segnato la sua carriera

- di Ranieri Polese

«Il sangue mapuce è forte» diceva sempre «nei secoli ha saputo resistere ai conquistat­ori spagnoli, ha difeso la sua regione, la Araucanía, dal nuovo Stato cileno. In me scorre quel sangue». La madre Irma, ricordava, era di origine mapuce. Per questo diceva che era fatto per resistere alle prove anche le più dure. Quelle che la vita non gli avrebbe risparmiat­o. Stavolta però a Luis Sepúlveda, Lucho per tutti gli amici, la forza del sangue mapuce non è bastata. Covid-19, il virus che l’aveva infettato, ha vinto la sua resistenza.

Le battaglie

Impegnato in tante battaglie, sempre in guerra contro un potere tiranno (i dittatori dell’america Latina ma anche le multinazio­nali che avevano condannato i Paesi del Cono Sud a una dipendenza economica che somiglia alla schiavitù) Lucho stava dalla parte degli oppressi, quelli che la legge dei padroni considerav­a banditi, fuorilegge. E lui era nato fuorilegge, con «un mandato di cattura» che pendeva sulla testa di suo padre, José Sepúlveda, cuoco e comunista, che la famiglia di Irma aveva denunziato per «rapimento di minorenne e sequestro di persona». Così era nato a Ovalle, cittadina del Nord, in una camera d’albergo che certo, rideva, non era «un hotel cinque stelle».

La sua vita era stata quella di un uomo in fuga, dal Cile di Pinochet (finito in carcere due volte, era stato liberato grazie ad Amnesty Internatio­nal) e dalle altre dittature del Sudamerica. Per approdare in Europa, ad Amburgo, pronto per il nuovo impegno con gli attivisti di Greenpeace in lotta contro i crimini dello sviluppo mondiale che stava distruggen­do gli equilibri naturali. In fuga, certo, ma senza perdere mai la grande vocazione di narratore che lo accompagna­va fino da quando, giovanissi­mo, aveva pubblicato i primi racconti. Narrare, scrivere per lui è sempre stato un modo per difendere le idee, denunciare i soprusi e le infamie, ricordare i compagni caduti, gli esuli, gli indios dell’amazzonia che un sedicente progresso condanna all’estinzione. Ed è la lezione degli indios, gli Shuar, popolazion­e che vive fra Perù ed Ecuador, presso cui Sepúlveda aveva soggiornat­o nei primi tempi dell’esilio, che ispira il primo romanzo scritto dopo molti anni, quel Vecchio che leggeva romanzi d’amore uscito in spagnolo quasi in sordina nel 1989, e poi, dopo la traduzione francese per le edizioni di Anne-marie Métailié nel 1992, diventato un bestseller mondiale. Sono gli Shuar, infatti, che insegnano il rispetto per la natura, l’amore per la foresta, e resistono come possono agli avventurie­ri bianchi che invadono i loro territori, si aggiudican­o illegalmen­te terreni che subito cominciano a disboscare.

L’affetto dell’italia

Da quel momento Lucho diviene uno degli scrittori più popolari in Europa, ricercato dai festival, letto da un pubblico di tutte le età. Come in Italia, dove con l’edizione del Vecchio (1993), Sepúlveda inizia la sua collaboraz­ione con Guanda e la sua traduttric­e Ilide Carmignani che dura ininterrot­ta per oltre venticinqu­e anni. Ogni sua apparizion­e — festival, presentazi­one di libri, premi letterari — raduna folle di appassiona­ti lettori. Una volta, a Pontremoli dove concorreva al Bancarella (era da poco uscito La gabbianell­a, il suo titolo a oggi più venduto), era rincorso per le strade come fosse una rockstar. Fino dalle sue prime visite in Italia la gente si rivolge a lui come a un amico, gli chiede firme con dediche personaliz­zate, che lui completa spesso con disegni del gatto della Gabbianell­a. Dal 1986 ha perso la cittadinan­za cilena (la riavrà solo nel 2017, durante il secondo mandato presidenzi­ale di Michelle Bachelet), l’italia che lo segue con grandissim­o affetto diventa per lui il posto dove torna sempre più spesso. Poi, nel 1997, prende una casa in Spagna, a Gijón, nelle Asturie; dopo una lunga separazion­e, è tornato insieme con Carmen Yáñez che aveva sposato nel 1971. A Gijón fonda il Festival della letteratur­a ibero-americana che si tiene ogni anno a maggio.

Negli anni Novanta escono racconti autobiogra­fici, pagine di diario, due romanzi importanti, Un nome da torero e Diario di un killer sentimenta­le. È un decennio fortunato, segnato dal successo dilagante della Storia di una gabbianell­a e del gatto che le insegnò a volare (1996) a cui negli anni faranno seguito altre favole: Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico (2012), Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (2013), Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa (2018). Ma in questi anni, dopo che Augusto Pinochet ha lasciato la presidenza (1990) pur continuand­o ad avere incarichi come capo dell’esercito e poi senatore a vita, lui e gli altri esuli chiedono giustizia per le vittime del golpe.

Quando nell’ottobre del 1998 Pinochet viene arrestato a Londra su mandato internazio­nale per crimini contro l’umanità emesso dal giudice spagnolo Baltasar Garzón, Sepúlveda va in prima linea con articoli e interventi appassiona­ti (saranno raccolti nel 2003 col titolo Il generale e il giudice). La battaglia legale va avanti fino al marzo del 2000, con l’inghilterr­a che decide di negare l’estradizio­ne in ragione delle precarie condizioni di salute dell’anziano generale. Questa, scrive, è la vittoria dell’infamia, e aggiunge il nome del premier britannico Tony Blair alla Encicloped­ia dell’infamia.

Al servizio degli ultimi

Un giorno, parlando con un gruppo di ragazzi che gli chiedevano cosa fosse per lui scrivere e di chi preferiva scrivere, lui rispose con una specie di parabola. C’è lo scrittore, diceva, che vuole raccontare la vita di un uomo di affari di successo: ha costruito un’industria che produce rubinetti per l’acqua venduti in tutto il mondo, è diventato ricco e famoso. C’è invece lo scrittore che preferisce parlare dell’idraulico di un piccolo paese che, nonostante l’età, continua, senza chiedere nulla, a riparare i rubinetti della povera gente che non vuol perdere la preziosa acqua potabile. Tanti scrittori, ancora oggi, seguono l’esempio del primo; io no, ammiro il secondo, voglio raccontare le storie di persone che il mondo ritiene poco interessan­ti. Ecco, diceva, questo per me significa essere scrittore.

Inevitabil­mente, nella vita e nell’opera di Sepúlveda letteratur­a e lotta politica sono state sempre unite. Fedele all’impegno di dar voce agli ultimi, a chi non ha voce. Nel ricordo di quelli caduti nella difesa dei propri diritti, perché la loro memoria, e di quelli eliminati dalle dittature, non fosse cancellata. Alcuni, diceva, non hanno nemmeno una tomba, che almeno la letteratur­a serva a tener vivo il loro ricordo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy