«Rifornisce gli spacciatori» Arrestato il papà di Desirée
Il blitz a Latina. La figlia 16enne morì di overdose in un rudere a Roma
Cocaina. Hashish. Marijuana. La vita di Gianluca Zuncheddu ha continuato a ruotare attorno a queste sostanze. Ieri i carabinieri di Cisterna (Latina) e Aprilia lo hanno arrestato una volta di più, assieme ad altre sette persone. Le accuse non cambiano, come non è cambiata la vita di Zuncheddu dopo la morte della figlia, Desirée Mariottini, trovata morta in uno stabile abbandonato a Roma il 18 ottobre 2018 (stupro e omicidio secondo l’accusa: il processo è tuttora in corso). E pazienza che anche Desirée abbia inseguito quelle stesse sostanze fino a incrociare i suoi killer. Ancora una volta l’uomo è accusato di spaccio.
L’esperienza maturata sul campo gli è valsa l’appellativo di «boss» e dalle intercettazioni disposte dai magistrati emerge che più d’un «collega» si rivolge a lui come a un capo. Ma forse è troppo per Zuncheddu che, a trentanove anni, separato, travolto dalla perdita della figlia, sembra non saper cambiare vita.
L’ultima volta che i giornali hanno parlato di lui è stato il 28 gennaio scorso quando ha deposto nell’aula bunker di Rebibbia dove si celebra il processo per la morte di sua figlia.
Ascoltato in coda a una lunga serie di testimoni, ha parlato di lei, Desirée. Raccontando di quella volta in cui la riportò a casa dopo che si era resa irreperibile. E di come lei, indispettita, glielo fece pesare con una denuncia per violazione del divieto di avvicinamento disposto dal giudice. Quel giorno Gianluca Zuncheddu aveva spiegato alla platea di giudici e avvocati che se lui avesse potuto fare a modo suo, da uomo della strada, allora «avrei potuto salvarla». E chissà a quale blitz da action movie pensava: «Ho svolto mie personali indagini — aveva detto — E ho scoperto che Desirée era stata tradita, “venduta” da due amiche, due ragazze di colore. Mia figlia le aveva cercate perché una di loro si era presa il suo tablet».
Da oggi dovrà badare a sé stesso. Le accuse nei suoi confronti come in quelli di Luca e Antonio Dinoia, Sandro e Simone Amabile, Vincenzo Avagliano, Stefano Speranza, Franco Iacomussi sono chiare. Zuncheddu riforniva di droga i pusher della zona. Ci sono le intercettazioni (47 telefonate con Simone Amabile) e ci sono i riscontri investigativi. L’ordinanza del gip Giuseppe Cario parla di un contesto agguerrito, sottolinea l’«estrema aggressività del gruppo criminale che non si fa scrupolo alcuno di innalzare il livello di scontro con le forze dell’ordine» e pesa «la frenetica attività di spaccio» fra l’abitazione di Zuncheddu e la statua di Padre Pio in via Moro. Il giudice ha valutato insufficienti gli arresti domiciliari: Zuncheddu potrebbe spacciare perfino dalla sua abitazione. La sua reputazione glielo consentirebbe.