Il negoziatore, con studi a San Diego, che piace ai big
Le attività nel settore biomedicale
Nato a Crema, famiglia di professionisti, studi negli Stati Uniti, a San Diego, Carlo Bonomi è un imprenditore di prima generazione. La sua azienda, fondata nel 2013, si chiama Synopo e produce strumenti e attrezzature consumabili per la neurologia. Synopo a sua volta nel 2015 ha acquisito Sidam srl e Btc Medical Europe. Il settore è sempre lo stesso: biomedicale. Nell’insieme il gruppo fattura 17 milioni di euro e dà lavoro a un centinaio di persone tra Milano e Modena.
Sul suo privato il presidente designato di Assolombarda è riservatissimo. In passato si è favoleggiato di una moglie socia in affari. Tutto falso. Niente mogli — né passate né in carica — e nemmeno figli. Al capitolo «hobby e sport» da segnalare una passionaccia per l’inter. E il piacere per le immersioni coltivato sulle più belle spiagge del mondo. Questo fino a tre anni fa. Poi è arrivata la presidenza di Assolombarda e Bonomi di tempo libero non ne ha più avuto. La prima sfida è stata la riorganizzazione della struttura tramite la promozione di personale interno. E fin da subito la preparazione della scalata a Viale dell’astronomia.
Ai critici che gli rinfacciavano il fatto di non avere il pedigree dell‘imprenditore con fatturato a nove zeri, Bonomi ha sempre risposto con il suo profilo da uomo d’azienda per scelta e non per destino familiare. Nello stesso tempo il suo punto di forza è stato la capacità di rappresentare al meglio proprio la grande impresa che in Assolombarda trova il suo salotto: dalla famiglia Squinzi alla Bracco, dai
Dompé ai Rocca (Gianfelice Rocca lo aveva voluto in Assolombarda come vicepresidente con delega al Credito).
Da solo, però, tutto questo non basta. Se Bonomi ha doppiato la sua contendente per numero di voti è stato anche grazie al lavoro certosino e paziente con cui ha costruito legami e alleanze con le altre territoriali. Del Nord, certo: l’imprenditore non ha mancato un’assemblea delle associazioni sopra la linea del Po ed è riuscito a unire a suo favore (fatta eccezione solo per Verona) persino le confindustrie del Veneto, di solito insofferenti rispetto al primato industriale dai milanesi. Ma non ha trascurato nemmeno le territoriali del Sud con cui ha firmato accordi di collaborazione. Quando poi al suo fianco si è schierata anche Unindustria Lazio e due king maker come i past president Luigi Abete ed Emma Marcegaglia (in passato al fianco sia di Giorgio Squinzi che di Vincenzo Boccia) è diventato chiaro che Bonomi sarebbe stato il candidato da battere.
A far pendere definitivamente il piatto della bilancia a
I tavoli Dobbiamo portare la posizione di Confindustria in tutti i tavoli, davanti a una classe politica che vedo smarrita favore di Bonomi è stato il ritiro dalla corsa del presidente di Federlegno-arredo Emanuele Orsini e di Giuseppe Pasini, presidente degli industriali di Brescia. Gran parte dei loro consensi sono andati al presidente di Assolombarda, come aveva certificato anche la relazione degli stessi saggi di Confindustria.
Durante la campagna elettorale il presidente designato non ha risparmiato nulla al governo (per la verità era stato critico in passato anche rispetto al Conte uno, contestando sia Reddito di cittadinanza che Quota 100). Le sue prime parole dopo la designazione lasciano intuire che la linea non sia cambiata. Di una cosa però si può star certi: Bonomi non è tipo da toni urlati e trasgressione delle regole. Durante la campagna elettorale ha fatto del rispetto dello statuto una bandiera. Altro tratto distintivo del suo mandato: la riorganizzazione di Viale dell’astronomia.
Ad avvelenare il clima negli ultimi giorni qualche voce (vicina all’entourage di Bonomi) legata all’inadeguatezza del sistema di voto a distanza. Ieri sera a condividere indirettamente qualche dubbio è stata la stessa Licia Mattioli: «Sono sorpresa molto più che amareggiata dall’esito dell’elezione, non posso non chiedermi dove siano finiti i voti dei tantissimi che mi avevano espresso sostegno». Al presidente designato, ora, il compito di ricompattare anche le parti dell’organizzazione che non sono già al suo fianco. E soprattutto di fare fronte alla sfida di una congiuntura economica tra le più complesse.