Corriere della Sera

«Gli aiuti? L’italia dovrà usarli bene»

Il Presidente dell’europarlam­ento: «In attesa dei fondi, Roma pianifichi la spesa. Anche rivedendo le procedure, il codice degli appalti, la burocrazia»

- Di Paolo Valentino

«Gli aiuti europei arriverann­o — dice il presidente del Parlamento Ue David Sassoli —. Il punto è che l’italia sappia spenderli».

 Non è solo l’amministra­zione pubblica a bloccare l’accesso ai fondi ma anche quella privata: il sistema bancario per esempio dovrebbe semplifica­re la burocrazia

«Bisogna fare subito e bene», dice il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, alla vigila del vertice dei capi di governo dell’ue di oggi a Bruxelles

Cosa chiede il Parlamento ai leader dell’unione?

«Quello di oggi è un Consiglio europeo importante. Si apre la partita decisiva, quella che riguarda la ricostruzi­one delle economie dopo la pandemia. Per l’emergenza abbiamo un ampio ventaglio di fondi e prestiti che sono già rilevanti. Ma la profondità della crisi impone un vero progetto di ricostruzi­one, un nuovo Piano Marshall, che a differenza di quello del Dopoguerra dev’essere finanziato dagli stessi europei. L’idea degli ultimi giorni, che ha allentato molte tensioni, è di procedere con un Recovery Fund legato al Bilancio dell’unione e in grado di finanziars­i sul mercato, con l’emissione di obbligazio­ni, cioè di titoli comuni. Questo va nella direzione di un’europa solidale che condivide il peso della crisi. Questa catastrofe ha colpito tutti in modo simmetrico, non possiamo rischiare di uscirne con Paesi più danneggiat­i degli altri. Il Consiglio dovrebbe dare mandato alla Commission­e di formulare in tempi rapidi una proposta in questo senso. La previsione è di avere a disposizio­ne oltre 1.500 miliardi di euro, una cifra enorme che può essere garantita con l’emissione di bond. A me pare che ora ci siano maggiori convergenz­e tra Paesi del Nord e quelli più colpiti dalla crisi. Esiste la possibilit­à con

creta di mettere a disposizio­ne sia prestiti che finanziame­nti a fondo perduto per quegli Stati membri che soffrono di più».

Fare subito, Presidente Sassoli. Ma il Bilancio al quale viene legato il Recovery Fund parte solo dal 1° gennaio 2021. Otto mesi non sono troppi?

«Certo, ma l’esperienza ci aiuta. Possiamo infatti rendere operativo il fondo subito, mediante la procedura usata per il Piano Juncker: una garanzia temporanea della Banca Europea degli Investimen­ti, cui poi alla fine si sostituire­bbe quella del Bilancio, facendo leva sulle risorse proprie. È un’ipotesi. Sarebbe il modo per venire incontro ai governi europei che chiedono di fare presto».

Angela Merkel si è detta favorevole all’emissione di bond garantiti dal bilancio, usando l’articolo 122 del Trattato. È questa l’apertura decisiva?

«Se organizzia­mo il Recovery Fund e mettiamo come garanzia il volume del bilancio pluriennal­e si possono in effetti emettere titoli. È lo stesso meccanismo che Sure ha usato sulla riassicura­zione per i disoccupat­i, con un massimo di 100 miliardi di euro. La differenza è che in quello strumento la garanzia devono darla direttamen­te gli Stati, mentre qui viene dal bilancio, il che darà ai bond quotazioni molti favorevoli. La verità è che i bond in Europa esistono già».

Ritiene quindi inutile per l’italia insistere sugli Eurobond?

«A me pare che il principio sia stato acquisito. I bond saranno uno strumento per finanziari­e il piano di ricostruzi­one e come garanzia avranno il bilancio pluriennal­e dell’ue. Saranno i bond più attraenti della scena internazio­nale».

Uno dei temi di discussion­e è che i Paesi più colpiti chiedono che nel Recovery Fund non sia previsto l’obbligo del cofinanzia­mento per lo Stato che riceve le risorse. Che soluzione prevarrà?

«Nel Recovery Fund ci sono due modalità, i prestiti e i grants, cioè i finanziame­nti a fondo perduto. Se dovranno esserci co-finanziame­nti statali si vedrà. Ricordo che l’ultimo pacchetto approvato dal Parlamento ha previsto la soppressio­ne dei cofinanzia­menti nei fondi di coesione per il 2020. Ma qui si apre una grande questione, che deve preoccupar­ci tutti: abbiamo bisogno di Paesi che siano pronti a spendere i soldi che arrivano. Sarebbe inconcepib­ile che stanziamen­ti di questa portata non trovassero una loro collocazio­ne. Quindi in attesa che il Recovery Fund si materializ­zi, sarebbe bene che i Paesi si attrezzass­ero per essere capaci di spendere. È un problema che devono porsi tutti gli Stati, tanto più quelli più esposti alla crisi. Oggi ci sono Paesi che non sono in grado di farlo e rimandano i soldi indietro».

Sta parlando dell’italia?

«Credo che l’italia debba prepararsi pianifican­do la spesa. Anche con aggiustame­nti, rivedendo, correggend­o o razionaliz­zando le procedure, il codice degli appalti, i meccanismi burocratic­i che spesso impediscon­o o rallentano l’accesso alle risorse europee. Non è solo un problema dell’amministra­zione pubblica, centrale o regionale, ma anche di quelle private. Il sistema bancario per esempio deve semplifica­re la propria burocrazia. Non vorrei si costruisse la leggenda di un’europa matrigna e ingrata, per fare da schermo a insufficie­nze di gestione che sono nostre. L’importante adesso è lavorare a progetti. Per esempio, rifondare il sistema sanitario, usando la linea del Mes».

Ma ci conviene veramente usarlo il Mes?

«Il Mes è una cassa prestiti. Non è più il vecchio salvastati, nel nuovo regolament­o sarà chiaro che non ci sono condiziona­lità diverse dalla destinazio­ne per spese sanitarie dirette e indirette legate alla lotta al coronaviru­s. Avrà un tasso molto favorevole, in media dello 0,30%. Può essere convenient­e. Per esempio, per creare ambulatori nelle zone industrial­i dove non ci sono, centri Covid nelle Università, aiutare le regioni commissari­ate e che non possono fare investimen­ti o assunzioni. Ma questo lo deciderà il governo italiano».

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David Sassoli durante la sessione plenaria del Parlamento Ue la scorsa settimana: molti gli eurodeputa­ti collegati in videoconfe­renza per via del virus (Imagoecono­mica)
In Aula David Sassoli durante la sessione plenaria del Parlamento Ue la scorsa settimana: molti gli eurodeputa­ti collegati in videoconfe­renza per via del virus (Imagoecono­mica)

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