«C’era bisogno, ci si rimette in gioco e si dà una mano»
laudio Ceravolo, 72 anni, ha fatto il chirurgo fino al 2013. Il 5 marzo, quando l’emergenza coronavirus stava esplodendo, è tornato a dare una mano al Pronto soccorso di Crema, nell’ospedale dove era stato responsabile del centro oncologico. Spiega che per lui, che è anche presidente della Fondazione Coopi, Ong impegnata soprattutto in Africa, è stato naturale. «Da decenni siamo presenti in tante nazioni in tutto il mondo. Se questa è la nostra filosofia, è assolutamente normale impegnarci anche nel posto dove siamo nati e viviamo. Alla base c’è lo stesso sentimento di responsabilità verso una comunità. Mica posso dire: adesso sono in pensione e me ne sto a casa bello beato. Ci si rimbocca le maniche e si lavora». Sapeva a quali rischi poteva andare incontro e gli è andata bene. Dopo due settimane ha scoperto di essere stato contagiato. È tornato a casa, ha passato il periodo di quarantena, adesso è guarito e ha dato nuovamente la disponibilità a rientrare. «Per fortuna la pressione sull’ospedale si è un po’ allentata. Ma se ci fosse ancora bisogno io sono pronto». Il dottor Ceravolo, che è stato anche sindaco di Crema per due mandati, è un tipo pratico e rifiuta «l’idea del medico eroico che affronta a mani nude l’emergenza». Parla di una scelta condivisa da tanti suoi colleghi. «Anche all’interno di Coopi, non sono l’unico medico in pensione che ha scelto di riprendere l’attività. Per le centinaia di organizzazioni di volontariato in Italia l’impegno in questa situazione di emergenza non è l’eccezione, ma la normalità».
Non si può dire: ok ora sono in pensione e sto a casa Ci si rimbocca le maniche e si lavora Mi sono ammalato, ho fatto la quarantena e sono pronto a rientrare in corsia