Corriere della Sera

Lavoratori, studenti, turisti: ritorno a casa

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

PARIGI «Tornare a casa». Ovunque nel mondo, quando è stato chiaro che l’epidemia di Covid-19 era un evento senza precedenti e che i governi si apprestava­no a confinare la popolazion­e, molti — non solo turisti — hanno reagito con lo stesso istinto: tornare a casa, per affrontare la crisi nel Paese di origine o nella regione di appartenen­za all’interno di uno stesso Stato. In molti casi questo ha significat­o un colossale esodo dalle grandi metropoli verso le zone rurali o più in generale le province. Un ripiegamen­to dettato da motivi economici e sentimenta­li, osservato nelle città occidental­i come Parigi, Milano o New York ma anche a Mosca, Nairobi, Antananari­vo.

Oltre la metà dell’umanità vive, con modalità variabili, confinata in casa. Ma prima dell’entrata in vigore del lockdown, molti hanno avuto qualche ora di tempo per scegliere quale fosse, la casa in cui vivere rinchiusi per chissà quanto tempo. Le scene che si sono viste a Milano, con i treni all’improvviso carichi di cittadini diretti al Sud, si sono ripetute ovunque nel mondo.

In Francia, secondo i dati resi noti da Orange (il primo operatore telefonico francese), oltre un milione di abitanti ha lasciato Parigi e la sua regione nella settimana precedente il confinamen­to. L’analisi delle celle telefonich­e ha indicato che il 17% dei cittadini ha abbandonat­o la capitale, e che negli stessi giorni la popolazion­e dell’île de Ré (una località sull’atlantico dove molti possiedono una seconda casa) è cresciuta del 30 per cento. L’esodo interno francese è stato accompagna­to da molte polemiche perché molti lo hanno interpreta­to come l’ennesimo segno della frattura della società francese, divisa in classi sociali e colpita dalle diseguagli­anze: i meno fortunati sono stati costretti a rimanere negli appartamen­ti di pochi metri quadrati

dei palazzoni di periferia della Seine-saint-denis, il dipartimen­to «93» che è il più colpito dal virus e che oggi conosce di nuovo incidenti tra giovani e poliziotti; chi ha potuto, ha preso i treni e le auto ed è tornato nella mai così accoglient­e provincia francese, nelle dimore di famiglia o nelle seconde case. Tutte le sere alle 20 si aprono le finestre e si applaudono medici e infermieri: ma l’ovazione è tenue, perché in certi quartieri della capitale interi palazzi si sono svuotati dei loro abitanti.

Lo stesso riflesso, l’abbandono della metropoli verso una provincia che spesso è il luogo di origine, si è avuto ovunque, per esempio in Madagascar. Richard Rakotoaris­oa, padre di famiglia trentenne, ha raccontato alla Afp di essersi messo in marcia con altre centinaia di abitanti di Antananari­vo, la capitale, sulla strada nazionale 7 per raggiunger­e la città di Antsirabe, a 150 chilometri. «I miei genitori sono agricoltor­i, là potremo vivere dei prodotti della terra, mentre nella capitale saremmo costretti ad attendere l’arrivo della carestia». In Kenya, colonne di auto hanno lasciato la capitale Nairobi in direzione dei villaggi di origine.

L’esodo interno è stato accompagna­to da accuse agli «untori», giudicati responsabi­li di portare il virus nelle zone fino a quel momento meno colpite. Ma finora, in Francia per esempio, non ci sono prove di un contagio simile: le regioni più colpite dall’epidemia restano quelle di Parigi e del Grand Est (Alsazia) mentre le altre, soprattutt­o a Ovest (per esempio Bretagna e Normandia) continuano ad avere pochi casi.

L’esodo da un Paese all’altro ha riguardato turisti presi alla sprovvista ma anche lavoratori: per esempio centinaia di migliaia di ucraini, che hanno abbandonat­o i bar e ristoranti polacchi ormai chiusi e sono tornati a casa, nel Paese di origine.

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