Sequestrato il tesoro degli Spada C’è anche la palestra della testata
Roma, beni per oltre 18 milioni di euro. «Forte divario tra redditi e tenore di vita»
ROMA Confiscate la «Royal slot», la «Star Games» e la «Luxor» interamente dedicate al noleggio di slot machine e videogiochi. Confiscata anche la «Gamma auto» e la «Rosa auto», autosaloni del clan. Ma soprattutto confiscata l’associazione sportiva «Femus» titolare della palestra di boxe in via Antonio Forni a Ostia, davanti alla quale Roberto Spada assestò la famosa «capocciata» al giornalista Daniele Piervincenzi. Simbolo della fama del clan e avamposto di reclutamento della sua manovalanza.
Da quell’episodio, ritenuto dai magistrati l’atto di un’intimidazione mafiosa (era il 7 novembre 2017), sono derivate una serie di conseguenze giudiziarie per gli Spada, «federati» ai Fasciani nella gestione di spaccio, estorsione e usura lungo il litorale laziale. Prima la condanna di Roberto Spada per la testata con l’aggravante mafiosa (a giugno del 2018), quindi gli ergastoli decisi in primo grado nei confronti di Carmine Spada e altri fratelli e prestanome (a settembre 2019), ora la confisca da parte dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di un patrimonio che si aggira attorno ai diciotto milioni di euro, sulla base di norme che permettono di aggredire i beni mafiosi.
Nessun dubbio che il clan corrisponda ai requisiti di «mafiosità» richiesti, scrivono i giudici della terza sezione penale del Tribunale delle misure di prevenzione.
Gli Spada, sottolineano i magistrati, rappresentano «una compagine originaria del litorale romano e ivi fortemente radicata in posizione di egemonia che al momento dell’intervento repressivo (2018, ndr) era nel pieno fulgore della propria operatività ed efficienza, tanto sotto il profilo della efficacia e della intimidazione quanto sotto il profilo del reinvestimento dei proventi dell’attività criminale».
Dietro alcune srl specializzate in auto, forni e sale gioco di Ostia c’è, dunque, il marchio della famiglia Spada e degli alleati tradizionali, i Di Silvio. Il carosello di prestanome ricostruito nel corso delle indagini sta lì a confermarlo.
Vale la pena accennare al ruolo giocato in tal senso da Claudio Fiore, titolare di un panificio della zona che, negli anni, ha impiegato serialmente gli Spada e primo fra tutti il boss Carmine. In realtà quella panetteria ha prosperato grazie ai finanziamenti occulti dello stesso Carmine Spada il quale, del resto, utilizzava Fiore come guardaspalle e autista durante i suoi spostamenti. Un’intercettazione emersa al maxi processo nei confronti del clan ha rivelato come Fiore fosse né più né meno che un dipendente del clan. E non il contrario come Carmine Spada ha cercato di accreditare.
I finanzieri hanno confrontato le dichiarazioni dei redditi dei componenti del clan con lo stile di vita effettivamente condotto dai singoli. In qualche caso, come in quello di Roberto Spada, il divario è stato schiacciante: «Non può non evidenziarsi — scrivono i giudici — come il tenore di vita tenuto dal proposto e dai componenti il relativo nucleo familiare porta ad escludere che gli stessi abbiano condotto un tenore di vita al limite della soglia di povertà». Esempio per tutti: la Bmw da 56 mila euro acquistata da Roberto nell’anno in cui il suo reddito aveva totalizzato poche migliaia di euro.
Il 13 novembre scorso la Cassazione ha confermato 6 anni di carcere nei confronti di Roberto Spada per l’aggressione nei confronti di Piervincenzi: ormai la fortuna ha voltato le spalle al clan.