Corriere della Sera

CRAVATTA, AUTO, SECONDA CASA COSÌ PASSANO I MITI BORGHESI

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Caro Gianfranco, a maggioranz­a dei messaggi che arrivano al Corriere in questi giorni riguardano il coronaviru­s; ma non possiamo parlare solo di questo. Lei pone una questione solo all’apparenza frivola. Diciamo che la scelta oggi è affidata alla sua libertà, mentre un tempo era obbligata. Già negli anni 80 Gianni Versace fece scandalo sostenendo che la cravatta non era più un segno di decoro e di distinzion­e: «Ormai la portano anche i banditi» disse. Tanto valeva toglierla. Il più importante manager italiano degli ultimi vent’anni, Sergio Marchionne, si presentava in pullover anche alle occasioni formali. Giro abitualmen­te per scuole, università, studi tv, e non ho mai visto un teen-ager o un ventenne con la cravatta. Se proprio vogliono essere «eleganti», mettono la camicia al posto della solita maglia. Non mi intendo di moda, ma trovo che il discorso sia interessan­te anche dal punto di vista sociale. La cravatta è uno dei simboli del ceto medio che non si usano più, o si usano meno. Altri due esempi sono l’automobile e la seconda casa.

Quand’ero adolescent­e, ci strappavam­o di mano «Quattroruo­te» per sognare gli ultimi modelli e consultare i prezzi delle macchine di seconda mano. Oggi ai ragazzi dell’auto non importa molto più di nulla: hanno lo scooter, la metro, il car sharing. Quanto alla seconda casa, per milioni di famiglie italiane è stata un investimen­to sicuro e anche il segno che si era usciti da una condizione atavica di bisogno (ovviamente non intendo per seconda casa la villa a Portofino ma il bilocale a Borghetto Santo Spirito). Oggi la seconda casa è massacrata dalle tasse e sorpassata dalla multipropr­ietà e da Airbnb. Così tramontano i miti della piccola e media borghesia. E non è detto che sia un bene.

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