Corriere della Sera

Scaroni: il greggio sotto zero? Ora sono gli Usa a dover agire

- Di Stefano Agnoli

Paolo Scaroni, deputy chairman di Rothschild, prima di arrivare alla presidenza del Milan è stato amministra­tore delegato dell’eni per nove anni, dal 2005 al 2014. Un periodo lungo, ma mai gli è capitato di vivere la stagione dei prezzi negativi del petrolio, la novità storica di oggi.

Come si è arrivati a uno scenario del genere?

«Per capirlo bisogna riportare l’orologio a prima della crisi, quando i consumi mondiali erano a 100 milioni di barili al giorno. Di fronte agli Stati Uniti, che negli ultimi dieci anni hanno visto crescere la loro produzione di 7 milioni di barili al giorno, solo Arabia Saudita e Russia hanno fatto un passo indietro. Pensiamo allo scorso gennaio: il prezzo di 60 dollari al barile permetteva ai produttori di shale oil americano, circa 6 milioni di barili al giorno, di campare abbastanza bene».

E poi che cosa è successo?

«Che con la pandemia e i lockdown i consumi sono scesi a 70 milioni di barili al giorno. L’arabia Saudita avrebbe voluto tagliare ancora, ma i russi si sono opposti, perché i produttori americani sarebbero andati avanti come sempre, e per loro nulla sarebbe cambiato. Così anche i sauditi non hanno tagliato. Il risultato è l’intasament­o di oggi».

Ma i prezzi negativi?

«La risposta all’ingorgo di petrolio è avvenuta in due modi: nel resto del mondo si stanno riempiendo le petroliere fino all’orlo. Negli Usa, che sono un mercato bloccato, si è arrivati a prezzi negativi. Ma lo definirei un “incidente tecnico” del Wti, la qualità di greggio nordameric­ana. Probabilme­nte si ripeterà anche sulle scadenze di giugno, ma non attribuire­i a questo evento troppa importanza. Noi dobbiamo seguire il Brent, il greggio non americano».

Finito il lockdown quindi tutto tornerà come prima?

«Fino a che le economie saranno ferme la domanda resterà debole e il prezzo del Brent sotto 20 dollari al barile. Quando i lockdown saranno rimossi la domanda tornerà progressiv­amente a 100 milioni di barili, ma i prezzi non torneranno a 60 dollari».

Perché?

«Perché la Russia non vuole più tagliare le sue produzioni mentre gli Usa producono a manetta, incuranti di quanto accade nel mondo. Ecco, mi attendo una qualche contromisu­ra da parte americana, anche se la loro stessa legislazio­ne non lo consente. Però è altrettant­o vero che per troppo tempo hanno pensato solo ad accrescere le quote di mercato lasciando agli altri l’onere di ridurre le produzioni. Ora si devono un po’ guardare allo specchio».

Il presidente Trump ha però avallato l’accordo sui tagli Opec+, non è vero?

«Ma non ha preso impegni concreti. Se i prezzi resteranno così, gli Usa ridurranno la loro produzione solo perché sotto i 35 dollari al barile lo shale oil diventa antieconom­ico. E poi non va dimenticat­o che in questa situazione verrà a galla un altro grave problema: le compagnie di shale oil sono indebitate per più di 100 miliardi di dollari e sono sull’orlo del fallimento. Sarebbe un macigno su tutta l’economia che l’amministra­zione deve rimuovere».

Se il presidente non può ridurre la produzione di petrolio non si tratta di un problema senza soluzione?

«Certo, l’amministra­zione non può imporre tagli, sarebbe contro le leggi. Ma in questo periodo eccezional­e può provare altre misure speciali, come sovvenzion­are i produttori perché lascino il petrolio sotto terra. Leggo ad esempio che il governator­e del Texas sta cercando di limitare le estrazioni proprio facendo leva sugli stoccaggi ormai pieni. È difficile, ma è un problema che va risolto. E a soffrire terribilme­nte non sarebbero solo i produttori americani, ma anche le economie degli Stati più deboli. Penso a Paesi molto popolati come la Nigeria, l’angola, l’egitto, oppure ad Iraq e Iran».

Ma la domanda resta la stessa: come se ne esce? E dove si potrebbe trovare un compromess­o fruttuoso per tutti?

«Non credo ci siano alternativ­e a un’intesa tra i primi tre produttori mondiali, Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita, più Kuwait e Emirati, che fanno quasi la metà dell’output mondiale. Se si mettessero d’accordo sulla base di sacrifici coerenti il prezzo del barile potrebbe stabilizza­rsi sui 4050 dollari, che mi sembra un prezzo sano».

Che significa «prezzo sano»?

«Un prezzo che i consumator­i possono permetters­i e che consentire­bbe di evitare il fallimento dei produttori di shale oil e dei Paesi produttori di petrolio, in sofferenza per le loro entrate falcidiate dalla crisi».

 Nel resto del mondo le petroliere si stanno riempiendo fino all’orlo, negli Usa il prezzo è negativo ma è un incidente tecnico

 Trump non può imporre tagli ma può sovvenzion­are i produttori affinché lascino il petrolio sotto terra

 ??  ?? Paolo Scaroni, 73 anni, è stato per dodici anni a capo dei due colossi italiani energetici, Enel ed Eni. Nel mondo del calcio dal ‘97, è attualment­e dirigente sportivo e ricopre l’incarico di presidente del Milan
Paolo Scaroni, 73 anni, è stato per dodici anni a capo dei due colossi italiani energetici, Enel ed Eni. Nel mondo del calcio dal ‘97, è attualment­e dirigente sportivo e ricopre l’incarico di presidente del Milan

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