Corriere della Sera

«In bici per far sognare»

Su Raiplay Il documentar­io in 16 puntate «Non voglio cambiare pianeta» Jovanotti e il viaggio solitario in Cile e in Argentina «Una pedalata di evasione in un mondo stravolto»

- Andrea Laffranchi

L e poesie di Neruda e la maglietta di Zagor. Il meccanico che sistema la bici e l’asceta della nutrizione che non sgarra. L’emozione per lo spettacolo della natura e l’imprecazio­ne per l’ustione causa crema solare dimenticat­a. Il frullatore jovanottia­no torna in posizione «on». Da domani su Raiplay sarà disponibil­e «Non voglio cambiare pianeta», titolo preso proprio da un verso di Neruda, un documentar­io in 16 puntate (15 minuti l’una circa) sul viaggio che Lorenzo ha fatto fra febbraio e marzo in Cile e Argentina. Un’avventura in solitaria, 4 mila chilometri da Santiago del Cile a Buenos Aires, dal livello del mare ai quasi 5 mila metri delle vette andine, panorami mozzafiato e salite che ti tagliano le gambe, una bicicletta, 20 chili di bagaglio.

«Mi piace chiamarlo docutrip perché ha dentro anche qualcosa di psichedeli­co. In realtà è un formato indefinibi­le. Mi ricorda il Jova Beach Party perché fatico a pensarlo addosso ad altri. Quei concerti hanno rappresent­ato i 30 anni che ci ho messo per arrivare a fare la cosa per cui sento di essere nato. Anche questo è qualcosa di costruito su misura». Nel Jova Beach, però, era circondato da decine di migliaia di persone, qui, tranne una parentesi nel tragitto più impegnativ­o in cui lo ha accompagna­to un amico, era da solo. «Sono uno il negativo fotografic­o dell’altro».

Sempre in movimento, fisico o mentale. «Viaggiare è un sogno che è arrivato nella mia vita prima della musica e che si è poi riflesso in tutto quello che faccio. Spero che anche chi non è mio fan inciampi in questo racconto e colga il senso del viaggio. La realtà non può essere soltanto quella filtrata da uno schermo retroillum­inato. Quando Gabriele Muccino ha saputo di questo viaggio mi ha detto che vivo come un 20enne. Gli ho risposto che si sbagliava: gli anni della formazione sono continui, fino alla fine». Viaggio alla ricerca di se stesso, ma con le telecamere al seguito. «Non mi hanno tolto nulla. Sono 60 ore di girato con un iphone e una Gopro che è grande come mezza mela. Le accendevo per distrazion­e, come il pallone di Tom Hanks in Castaway».

Conferenza stampa in videochat, la soddisfazi­one dell’ad della Rai Fabrizio Salini («Non solo non ci fermiamo ma rilanciamo e rischiamo sperimenta­ndo prodotti originali: siamo servizio pubblico fino in fondo») e della direttrice di Raiplay Elena Capparelli. È la prima collaboraz­ione di Jova con viale Mazzini dai tempi di Fantastico del 1990. È un prendersi le misure per il prossimo Festival di Amadeus, visto che a questo non c’era proprio perché in Sudamerica? Ride Jova: «Siamo ad aprile... chissà se a febbraio ci sarà il Festival... Con Amadeus e Fiorello siamo fratelli. Tutti quelli che partecipar­ono alla nascita della Radio Deejay di Cecchetto erano brave persone: nessuna mi ha deluso nella vita o nella carriera. Spero di non essere stato io la delusione. Ma io non avevo mai detto che ci sarei stato, era una battuta fatta con Fiorello». Sanremo, prodotto televisivo, potrebbe funzionare anche col distanziam­ento sociale. La musica dal vivo? «Sono entusiasta delle cose nuove ma non farei affidament­o sulla musica via social. Mi fa avvilire l’idea di concerti in acustico su Instagram. La musica viaggia fra le persone, non fra te e le casse del computer. È qualcosa che tocca in profondità la società e i singoli, è uno sfogo cutaneo del pianeta, e anche questa volta rivelerà qualcosa». «Non voglio cambiare pianeta» è nato prima dell’emergenza coronaviru­s. «Ero partito per prendere le distanze da tutti. Sono tornato che mi hanno preso la temperatur­a a Fiumicino e devo stare distante dagli altri per legge. Il mondo è stravolto, è cambiato. Sono passati solo 4000 km, ma sembra tutta un’altra storia». C’è anche una colonna sonora registrata al ritorno nello studio casalingo di Cortona, ma nata pedalando. «La musica e la bicicletta sono simili: più ci sei dentro e più ti vedi da fuori, più ti concentri e più la testa prende direzioni inattese. Non credo che verrà mai pubblicata».

 Sono entusiasta delle cose nuove ma non farei affidament­o sulla musica via social Mi avvilisce l’idea di concerti in acustico su Instagram

 ??  ?? In sella Jovanotti, il cui vero nome è Lorenzo Cherubini, 53 anni, in un momento del suo viaggio in bicicletta in solitaria: 4000 km dal Cile all’argentina, percorsi tra gennaio e febbraio. Una esperienza da cui è nato il documentar­io «Non voglio cambiare pianeta»
In sella Jovanotti, il cui vero nome è Lorenzo Cherubini, 53 anni, in un momento del suo viaggio in bicicletta in solitaria: 4000 km dal Cile all’argentina, percorsi tra gennaio e febbraio. Una esperienza da cui è nato il documentar­io «Non voglio cambiare pianeta»

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