«La scuola a distanza va bene, ma non esaltiamola»
Èindubbio lo sforzo dei docenti nel nutrire gli studenti grazie alle metodologie della scuola a distanza; tanti ragazzi (e mamme) si sono adattati ad apprendere su tablet e pc e poco o niente sui libri. Nessuno vede un’involuzione del processo insegnamentoapprendimento, anzi. Il mezzo informatico, c’era già ed era poco sfruttato, se non da alcuni istituti e da qualche docente illuminato e comunque solo in alcune discipline e, questo è grave, pochissimo dalle università che invece, come oggi si avverte, ne avrebbero avuto grandi vantaggi. Eppure, l’incredibile fiducia riposta in queste settimane nell’uso costante di ciò che è lo smart learning francamente non convince. Qualche esempio. I bimbi della materna, privati di una socialità indispensabile per un avvio alla relazione sociale tra pari, non possono venir ricompensati da telefonate di buone maestre. I bambini della primaria sono quelli che hanno più bisogno del contatto diretto con compagni e docenti. I ragazzi con disabilità ricevono attenzioni dai docenti di sostegno, ma qui la lontananza fa regredire. Quindi il riconoscimento di una passione pedagogica di tanti docenti, diventati di colpo teledocenti si accompagna al timore del danno derivante da una sproporzionata retorica per la nuova modalità didattica che in una scuola ritrovata può costituire un ottimo strumento integrativo di istruzione, ma solo un dispositivo, non la sostanza. Di teledocenti si può abbondare ma di «in-segnanti», quelli che lasciano il segno vivo nei discenti, non possiamo proprio fare a meno.