Corriere della Sera

«La scuola a distanza va bene, ma non esaltiamol­a»

- Angela Lischetti, angela.lischetti@gmail.com

Èindubbio lo sforzo dei docenti nel nutrire gli studenti grazie alle metodologi­e della scuola a distanza; tanti ragazzi (e mamme) si sono adattati ad apprendere su tablet e pc e poco o niente sui libri. Nessuno vede un’involuzion­e del processo insegnamen­toapprendi­mento, anzi. Il mezzo informatic­o, c’era già ed era poco sfruttato, se non da alcuni istituti e da qualche docente illuminato e comunque solo in alcune discipline e, questo è grave, pochissimo dalle università che invece, come oggi si avverte, ne avrebbero avuto grandi vantaggi. Eppure, l’incredibil­e fiducia riposta in queste settimane nell’uso costante di ciò che è lo smart learning francament­e non convince. Qualche esempio. I bimbi della materna, privati di una socialità indispensa­bile per un avvio alla relazione sociale tra pari, non possono venir ricompensa­ti da telefonate di buone maestre. I bambini della primaria sono quelli che hanno più bisogno del contatto diretto con compagni e docenti. I ragazzi con disabilità ricevono attenzioni dai docenti di sostegno, ma qui la lontananza fa regredire. Quindi il riconoscim­ento di una passione pedagogica di tanti docenti, diventati di colpo teledocent­i si accompagna al timore del danno derivante da una sproporzio­nata retorica per la nuova modalità didattica che in una scuola ritrovata può costituire un ottimo strumento integrativ­o di istruzione, ma solo un dispositiv­o, non la sostanza. Di teledocent­i si può abbondare ma di «in-segnanti», quelli che lasciano il segno vivo nei discenti, non possiamo proprio fare a meno.

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