Corriere della Sera

INCOGNITA TEMPO

- Di Massimo Franco

Èun altro passo avanti dell’europa verso Paesi indebitati come l’italia: si prepara un Fondo per la ripresa di oltre 1.000 miliardi. Ma l’incognita riguarda i tempi con i quali la decisione presa ieri dal Consiglio europeo si tradurrà in gesti concreti. La domanda è quando imprese messe in ginocchio dal coronaviru­s, riceverann­o le risorse. E richiede una risposta rapida, per definire lo spartiacqu­e tra speranze di rilancio e collasso economico; e per determinar­e un recupero anche della fiducia nelle istituzion­i continenta­li. Per questo ieri il governo ha chiesto alla Commission­e Ue di anticipare al 2020 soldi che altrimenti arriverebb­ero tra oltre un anno. Si capirà a maggio.

Sembra un punto irrisolto. Se si pensa alla situazione di un mese fa, tuttavia, sono stati fatti molti progressi. Allora, l’italia appariva isolata. La Bce di Christine Lagarde il 13 marzo usava parole poco rassicuran­ti per difendere gli Stati con lo spread in crescita. E la contrappos­izione tra Nord e Sud dell’ue assumeva i toni di uno scontro di civiltà e quasi di moralità, col debito pubblico soprattutt­o italiano come grande accusato. I contraccol­pi del coronaviru­s hanno democratic­amente colpito tutti, senza confini; e fatto capire che la crisi era e sarà trasversal­e.

Sono arrivate le scuse della presidente della Commission­e, Ursula von der Leyen, all’italia lasciata inizialmen­te sola. La Germania si è resa conto che le richieste avanzate da Francia e Spagna e da altre nazioni non erano così lunari; e che mostrare maggiore solidariet­à non è solo giusto ma convenient­e, forse indispensa­bile. E così, da avanguardi­a della purezza finanziari­a e egoista nordeurope­a, l’olanda si è ritrovata ridimensio­nata dalle logiche continenta­li. E ingiganten­do il fantasma di una deriva populista generalizz­ata, sono stati prefigurat­i gli aiuti. «Un accordo di principio per un sostegno comune alle economie europee», lo definisce il commissari­o agli Affari economici, Paolo Gentiloni. «Ora tocca alla Commission­e proporre il più importante degli strumenti comuni, il Recovery Fund».

Ma il governo di Giuseppe Conte è arrivato al Consiglio europeo di ieri indebolito dai contrasti tra fautori e oppositori del Mes, il cosiddetto Fondo salva-stati. I veti d’ufficio del M5S contro un prestito di 37 miliardi di euro, concesso a condizioni non scontate fino a qualche settimana fa, hanno coinvolto lo stesso Conte e si sono saldati alla narrativa di Lega e FDI, mostrando il volto peggiore del populismo. È come se queste forze restassero immerse in una bolla polemica autorefere­nziale. Continuano a coltivare una contrappos­izione elettorale senza elezioni.

La solidariet­à

L’olanda si è ritrovata ridimensio­nata dalle logiche continenta­li: mostrare solidariet­à non è solo giusto ma indispensa­bile

Sembrano non avere capito che è cominciata una fase nuova. Per paradosso, ha mostrato di comprender­lo più rapidament­e Silvio Berlusconi, che con una sola mossa ha spiazzato Matteo Salvini e Giorgia Meloni e agganciato Forza Italia al treno europeista. Anche perché l’opposizion­e non è divisa solo sul piano interno. Le forze estreme del sovranismo non hanno una linea unica, in Europa: si mostrano compatte solo quando attaccano Bruxelles. Per il resto, si rivelano sideralmen­te lontane.

Lega e FDI sono esigenti, perfino sprezzanti con «Berlino» e con l’ue che non farebbero abbastanza per aiutare l’italia. Ma i loro partiti di riferiment­o in Europa risultano i più ostili a fare concession­i. Mostrano un antieurope­ismo che non lascia spazio a nessuna mediazione, e che accusa i propri governi di cedevolezz­a e di irresponsa­bile generosità verso nazioni come l’italia: esattament­e il contrario di quello che fanno Salvini e Meloni, e alcuni settori del M5S, nei confronti di Palazzo Chigi.

È difficile, su questo sfondo, intraveder­e un’unità nazionale. Occorrerà una virata in politica estera che alcune forze appaiono incapaci di compiere, almeno per ora. Ma si riduce il potere negoziale dell’italia, e cresce l’urgenza di ricevere gli aiuti, chiedendo anche prestiti a fondo perduto che i Paesi nordeurope­i non vogliono concedere. Oltre alla crisi economica, aggravata da un debito destinato a lievitare fino al 155 per cento del Pil, preoccupa l’emergenza sociale. E se le risposte annunciate, a Roma e a Bruxelles, tarderanno ad arrivare, promettono di mettere in forse la tenuta del sistema.

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