Le Rsa chiedevano le mascherine E Roma rispose: noi non le abbiamo
Milano, le strutture indagate salgono a 26 A Lodi perquisita anche la casa di riposo di Mediglia Il carteggio tra i dirigenti e la Protezione civile
Uno scambio di mail drammatico testimonia quanto sia stata disperata all’inzio della pandemia la ricerca di mascherine da parte delle Rsa della Lombardia costrette a combattere disarmate contro il virus che fa strage di anziani. «Si rende improcrastinabile un intervento immediato della Protezione civile e del Governo» perché le strutture «stanno lavorando in condizioni difficilissime», scrivono le Rsa al capo del Dipartimento Angelo Borrelli. «Stiamo facendo di tutto», è la sconsolata risposta.
Il 5 marzo l’italia non è ancora zona rossa, lo sarà quattro giorni dopo, quando Roberto Costantini, commissario dell’associazione delle Rsa private scrive al direttore welfare della Regione Luigi Cajazzo denunciando una situazione «insostenibile». Le mail sono nella memoria depositata ai pm di Milano dall’avvocato Stefano Toniolo, legale dei tre manager della Fondazione Don Gnocchi indagati per omicidio colposo, epidemia colposa e violazione delle norme antinfortunistiche con il presidente della coop dei lavoratori per le morti da covid-19. «Ci sono numerose realtà che hanno pazienti positivi o in attesa di tamponi che hanno quasi terminato le scorte e non hanno ricevuto
La vicenda
● Il 5 marzo Roberto Costantini, commissario dell’associazione delle Rsa private, scrive a Luigi Cajazzo, direttore welfare della Regione Lombardia. Denuncia una situazione «insostenibile» (mancano le mascherine)
● Le mail sono ora in mano ai pm di Milano depositate dal legale dei tre manager della Fondazione Don Gnocchi
● I tre sono indagati per omicidio colposo, epidemia colposa e violazione delle norme anti infortunistiche con il presidente della coop dei lavoratori per le morti da Covid-19 nulla», dice Costantini chiedendo «aiuto» per le Rsa che di lì a poco accoglieranno pazienti covid-19 e no, come stabilirà la famosa delibera dell’8 marzo per liberare letti negli ospedali. «Tutti contavano su forniture gestite a livello regionale ma oggi apprendiamo che, con assoluta sorpresa, Aria (Azienda regionale innovazione e acquisti, ndr.) non è in grado di fornire alcunché». Analoga richiesta viene fatta a Borrelli, cui viene segnalato il rischio per la «tenuta, sicurezza e qualità delle cure». Il 7 marzo la risposta: «Stiamo facendo di tutto (...) per acquistare le mascherine e gli altri dpi». Tre giorni dopo, Aris torna a implorare aiuto perché «diversi medici, operatori sanitari (...) si sono ammalati e si stanno ammalando per la scarsità di dpi. Stiamo tenendo duro, ma in alcune strutture che stanno nelle zone più contagiate, i dpi si esauriranno in 24 ore. Chiaramente sapete benissimo quali sarebbero le ulteriori conseguenze se questa eventualità si verificasse, poiché il virus purtroppo non guarda al solo prodigarsi delle persone, alle buone opere in corso, a quanto si sta facendo, ma si ferma solo se trova una barriera che gli impedisce di propagarsi o una distanza che non riesce a colmare». Anche stavolta la risposta è laconica: «Stiamo provvedendo a reperire le mascherine e altri dispositivi. Appena avremo contezza ve la faremo avere. Comprendo la vostra esigenza e situazione e risolveremo».
Il Don Gnocchi si muove anche autonomamente, ma i primi 900 pezzi arriveranno solo il 16 marzo, spiega la difesa affermando che gli indagati sono «impegnati in prima
Leah den Bok è una fotografa canadese che nel 2014 a soli 18 anni ha iniziato un progetto sugli homeless a cui ha dedicato un libro dal titolo «Humanizing the homeless». Li cerca, li incontra, li ascolta. Per 10 dollari, l’equivalente di un pasto caldo, chiede loro di posare per lei. Per strada a New York ha scattato una foto iconica di una donna senza fissa dimora che indossa una mascherina.
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a casa della moglie a Platì (Reggio Calabria).
È una decisione analoga a quella che — tra le polemiche di Giorgia Meloni (FDI) e dei parlamentari della Lega, e gli ispettori attivati dal ministro Bonafede — il Tribunale di Sorveglianza di Sassari adotta su Pasquale Zagaria, 60enne linea nella lotta al virus e oramai sono allo stremo» con la serenità «gravemente turbata dall’incessante campagna mediatica che ha accompagnato la denuncia» dei lavoratori, alla quale si sono aggiunte quelle di parenti di vittime secondo i quali inizialmente la presenza del virus sarebbe stata nascosta. L’avvocato Toniolo
fratello del camorrista capoclan dei «Casalesi» Michele Zagaria, detenuto al 41 bis a Nuoro con condanna a 20 anni, in cura per un tumore. Quando il reparto dell’ospedale di Sassari dove faceva la chemio è stato chiuso e riconvertito in area Covid, il Tribunale ha chiesto al ministeriale Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria di trasferirlo in altro istituto che gli assicurasse le terapie necessarie: ma dal Dap «non è giunta alcuna risposta», e i giudici ne hanno allora disposto 5 mesi di detenzione domiciliare a Brescia. «Tutti i passaggi che si stavano compiendo — ribatte il Dap — sono stati oggetto di comunicazione al Tribunale con almeno tre mail, ultima il 23 aprile». A situazione diversa, diversa decisione a Milano sull’81enne boss catanese Nitto
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scrive nella memoria (è anche un esposto per calunnia) che nel Don Gnocchi il primo contagio viene individuato il 14 marzo e che ai lavoratori non sarebbe stato vietato di mettere le mascherine, ma chiesto di farne un uso «razionale» in base alle «linee guida dell’oms» del momento, dato che erano introvabili perché la «Protezione civile le aveva rastrellate sul mercato» per destinarle agli ospedali che curavano i casi covid-19. La Fondazione afferma di sentirsi parte «di un sistema sanitario da sostenere con tutte le proprie forze in questo momento di estrema difficoltà» e i suoi vertici indagati sono in «prima linea» contro la diffusione del virus che, però «è stato purtroppo materialmente impossibile» tener fuori dall’istituto, com’è accaduto per tutte le altre Rsa lombarde che non potevano essere chiuse, come avvenuto per bar e ristoranti, perché «hanno dovuto continuare a operare nell’interesse della collettività e dei pazienti».
Dopo il Pio Albergo Trivulzio (non confermate notizie su nuovi indagati), i pm milanesi hanno iscritto anche l’ente Istituto Auxologico per la legge 231/2001 e la Procura di Lodi ha perquisito la Rsa di Mediglia dove sono morti 65 ospiti su 150. In tutto sono salite a 26 le Rsa su cui indaga la Procura milanese.
Santapaola, detenuto come Perre a Opera: qui la giudice Paola Caffarena nega la detenzione domiciliare perché «è ristretto in regime di 41bis, quindi in celle singole e con limitazioni che lo proteggono dal contagio».
In tutte queste polemiche — come giorni fa nel differimento pena di Francesco Bonura, con il consigliere Csm Nino Di Matteo entrato a gamba tesa sulla giurisdizione tacciando i giudici di «dare l’impressione di piegarsi alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte nelle carceri» in marzo — non si tratta di benefici penitenziari. E nemmeno c’entra il decreto legge Bonafede che (in prevenzione anti-virus) apre alla detenzione domiciliare negli ultimi 18 mesi di pena ma esclude mafia (quindi i 41 bis) e una serie di reati ostativi tra cui il sequestro di persona. È invece l’applicazione o meno di una norma che esiste dal 1975 (e prima dal 1930) per i casi di «grave patologia», senza preclusioni sui reati.
Gli altri casi
A casa anche uno dei rapitori di Sgarella. Il no a Santapaola: il 41 bis protegge dal contagio