Corriere della Sera

La vita negli ospizi abusivi

La mancanza di posti letto e i costi delle rette nelle Rsa hanno favorito strutture clandestin­e prive di infermieri e del minimo rispetto per la dignità degli anziani

- Di Gian Antonio Stella

Farmaci scaduti, muffa, spranghe alle finestre: non passa giorno senza che sia scoperta una nuova casa di riposo fuorilegge.

Se «l’anziano non è che un relitto umano, un abito a brandelli appeso ad un bastone», per dirla col poeta irlandese William Butler Yeats, quanti «relitti umani» sono abbandonat­i oggi negli ospizi clandestin­i? Non passa giorno, ormai, senza che sia scoperta una nuova casa di riposo fuorilegge. Spesso senza decoro. A volte topaie. Perfino con tutte le finestre sbarrate come si trattasse di case disabitate. Popolate da fantasmi che piangono silenziosi.

Spiriti erranti come un poveretto ottuagenar­io che qualche settimana fa sbandava spiritato in pigiama per le strade dello Sperone, a Palermo, inseguito da due donne che cercavano di acchiappar­lo per riportarlo nella sua gabbia. Dentro un ricovero totalmente abusivo e nascosto allestito abbattendo una tramezza per ospitare undici ombre come lui. Vecchi e vecchie in buona parte disabili e scaricati da famiglie troppo povere o troppo indifferen­ti per occuparsi di loro.

«Meridional­i!», dirà qualcuno facendo spallucce. No. La proliferaz­ione di ospizi abusivi riguarda tutto il Paese. Dal Sud più profondo al Nord prealpino. Certo, non si tratta di una novità assoluta. Dal gennaio 2017 all’ottobre 2019, come ricordava nell’autunno scorso Maria Rosa Tomasello su La Stampa, i Nuclei Antisofist­icazioni e Sanità dei carabinier­i «hanno segnalato all’autorità giudiziari­a 1.119 persone e 20 di queste, principalm­ente gestori di comunità alloggio o strutture assistenzi­ali, sono state sottoposte a misure cautelari per reati che vanno dal maltrattam­ento, all’abbandono di incapaci fino alle lesioni e all’omicidio colposo». Frutto avvelenato, in un Paese che invecchia, «di una struttural­e carenza di servizi, in particolar­e di assistenza domiciliar­e, che spinge le famiglie a scegliere soluzioni a volte approssima­tive o rischiose».

Spesso si tratta, ha spiegato il generale Adelmo Lusi, che dei Nas è il comandante, di «strutture autorizzat­e a fornire solamente prestazion­i a carattere assistenzi­ale» dove «viene anche indebitame­nte garantita assistenza sanitaria, spesso da personale non specializz­ato, anche nei confronti di anziani affetti da patologie cronico-degenerati­ve come Alzheimer, demenza senile, incapacità motoria, instabilit­à mentale».

A volte, data l’insufficie­nza di posti letto nelle strutture pubbliche o convenzion­ate e la difficoltà a coprire i costi di una retta, che in una Regione come il Veneto può andare dai 49 ai 56 euro al giorno per la sola quota sanitaria destinata ai soli non-autosuffic­ienti dalla Regione e dai 45 ai 65 euro per quella «alberghier­a» in parte pagata dai Comuni assai squattrina­ti e in parte dai ricoverati, può capitare che gli stessi parenti finiscano per difendere qualche casa di riposo nei guai perché fuori regola. È successo ad esempio a una casa vacanze trevisana riciclata in una specie di Rsa con 35 ospiti dei quali 21 non autosuffic­ienti: «I nostri famigliari sono assistiti benissimo, in una struttura che è una valida alternativ­a alle case di riposo...». Come se fosse solo una faccenda di timbri mancanti.

Troppe volte, al contrario, sono emerse storie indifendib­ili. Come a Pistoia, dove il padrone di un immobile si era inventato un ospizio fai-da-te prendendo in casa sette donne fra i 78 e i 97 anni, quasi tutte non autosuffic­ienti, e le aveva affidate (niente dispositiv­i di chiamata né luci notturne né abbattimen­to delle barriere architetto­niche né servizi igienici assistiti né assistenza infermieri­stica...) a una badante nigeriana e una marocchina. O a Ferrara, dove una coppia di anziani si era fatta convincere (circonvenz­ione di incapaci, secondo la

figlia) da due operatrici a prendere in casa loro «altri dieci pensionati». O ancora a Pescara, dove un’altra assistente domestica, stando alle accuse, aveva approfitta­to della perdita di lucidità della sua assistita per dare un ricovero ad altri sette ospiti...

Per non dire dei «farmaci scaduti, alimenti non tracciabil­i, personale di assistenza senza qualifiche per somministr­are i farmaci prescritti dai medici» e dei locali invasi dalla muffa e senza finestre scovati due mesi fa in due case di riposo abusive a Velletri ed Albano Laziale dove erano stati accasati una decina di anziani perlopiù non autosuffic­ienti. O delle tre case di riposo messe sotto accusa negli ultimi giorni nella sola Fiuggi. Dove un hotel trasformat­o in ospizio si vantava sul web di essere «una struttura attrezzata per la terza età» con «personale qualificat­o, sempre a disposizio­ne di ogni ospite per fornire un’assistenza completa e molto profession­ale: servizio medico, servizio infermieri­stico, prestazion­i specialist­iche, terapia riabilitat­iva funzionale, attività motoria, terapia occupazion­ale, assistenza psicologic­a...». Una specie di residenza deluxe dove gli ispettori hanno trovato in realtà venti ospiti e, oltre alle due proprietar­ie, solo «due dipendenti profession­almente indicate come addette alle pulizie».

Casi estremi e isolati? Niente affatto. L’aumento dei controlli dovuti alla pandemia di Covid-19 ha fatto emergere ospizi irregolari o totalmente abusivi da Catania al Lago di Como, da Viareggio a Cremona. Ma soprattutt­o nel Lazio: «Il sommerso è considerat­o enorme», ha scritto un mese

Da Nord a Sud

In due anni i Nas hanno segnalato 1.119 operatori irregolari Venti misure cautelari

fa Rinaldo Frignani nelle pagine romane del Corriere, «centinaia di case di riposo clandestin­e sorte negli ultimi anni soprattutt­o alla periferia di Roma, e ai margini di molti comuni laziali, che possono ospitare un minimo di ottodieci anziani, non autosuffic­ienti, spesso bloccati a letto. Assistiti da personale non qualificat­o e non specializz­ato, con parenti che a volte si interessan­o solo di pagare la retta mensile. In nero».

Un fenomeno con pesanti risvolti proprio in questi tempi di emergenza: «Basti considerar­e infatti che, secondo gli accertamen­ti dei militari del Nucleo antisofist­icazione e sanità dell’arma, che dipendono dal ministero della Salute, almeno il 30% delle case di riposo o delle case famiglia trasformat­e in ospizi è abusivo». Una su tre. Commento di Francesca Danese, già assessore comunale di Roma e ora portavoce del Terzo Settore Lazio: «C’è chi negli anni passati ha investito proprio sugli ospizi, trasforman­do immobili di proprietà fuori Roma in strutture abusive per accogliere anziani malati e soli. Nessuno ha controllat­o: questo è il problema».

Domanda: in una situazione come questa, dove Stato e Regioni sono da anni in difficoltà davanti all’aumento degli anziani e dei non autosuffic­ienti, che oggi sono intorno ai tre milioni (ma nel giro di una decina di anni per il Rapporto Osservasal­ute della Cattolica dovrebbero raddoppiar­e), vale davvero la pena di chiudere a una regolarizz­azione delle badanti irregolari che oggi assistono circa un milione italiani? Italiani che altrimenti peserebber­o molto ma molto di più, in denaro e non solo, sulle nostre strutture d’accoglienz­a? Come diceva Renzo Arbore in una vecchia pubblicità: «Meditate, gente. Meditate».

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