Corriere della Sera

Il saluto dal balcone

L’arrivo al Casoretto alle 17 con lo «jilbab » e lo zaino portacompu­ter La folla di amici, uno striscione ambiguo, l’odio sui social: la Procura apre un’inchiesta e la Prefettura valuta se rafforzare la sorveglian­za Salvini e Meloni soffiano sulle polemi

- di Elisabetta Andreis e Cesare Giuzzi

MILANO Il cielo grigio del Casoretto, periferia d’orgoglio popolare e Resistenza partigiana, accoglie Silvia Romano fermando per un attimo la pioggia. Il tempo di pochi passi avvolta nelle braccia di un capitano dei carabinier­i e nello jilbab verde acqua con cui è tornata in Italia dopo 18 mesi di prigionia: «Sto bene, sto bene».

Quando la sorella Giulia apre lo sportello posteriore della Hyundai Ix35 con cui è arrivata da Roma insieme alla mamma Francesca e al compagno, Silvia ha quasi un sussulto. Solleva il braccio destro per tenere la mascherina, mentre la schiena è piegata dal peso dello zaino nero. Uno zaino moderno, di quelli che indossano migliaia di suoi coetanei all’uscita dagli uffici o dalle università. Il velo e lo zaino portacompu­ter. Come a marcare l’assoluta normalità di questa ragazza di 24 anni che in qualsiasi parte del mondo sarebbe sempliceme­nte una giovane donna. Ma che oggi nell’italia che odia sui social viene «lapidata» dalle parole di chi le augura stupro e morte per essersi convertita all’islam ed essere tornata nel nostro Paese con il nome di Aisha. adesso costringe la Prefettura di Milano a valutare una sorveglian­za più rigorosa al suo palazzo da parte di polizia e carabinier­i per il timore di qualche gesto di intolleran­za da gruppi neofascist­i o xenofobi. E che fa paura alla sua famiglia, come racconta lo zio Alberto: «Per alcuni Silvia è diventata un simbolo di conversion­e all’islam e adesso ci sono quelli che la vogliono ammazzare. È una situazione molto pesante per tutti noi. Silvia deve essere il simbolo della libera scelta di ciascuno. Non di odio». Una situazione così pesante da portare il pm Alberto Nobili, capo del pool Antiterror­ismo della Procura di Milano, a valutare nelle prossime ore l’apertura di un fascicolo d’indagine per «minacce» nei suoi confronti.

Fuori dal portone di casa, accanto a biglietti, fiori e disegni, anche uno striscione appeso dopo la sua liberazion­e. Le parole vergate a spray con un «carattere» spesso usato da gruppi ultrà di estrema destra: «Perdona l’umano, bentornata Silvia Romano». Un messaggio in rima dal sapore ambiguo e amaro, che ha molto turbato Francesca, la mamma: «Si è resa conto del clima intorno a lei quando è scesa dalla macchina e ha visto quello striscione...», racconta ancora lo zio.

È proprio la madre, mentre

Silvia attraversa la calca di giornalist­i e fotografi, ad attardarsi per un attimo intorno alla macchina. Apre il bagagliaio, sfila una valigia scura e per qualche secondo cammina libera dalla ressa. Sotto gli occhiali da vista, gli occhi sono lucidi: «Rispettate questo momento, vi ringrazio». Poi anche lei sparisce nel tunnel di flash e telecamere, quasi travolta da un assalto che non conosce distanziam­ento sociale e norme contro il coronaviru­s.

Sono le 17.11 in via Casoretto, Silvia Romano è finalmente a casa. In strada c’è un lungo applauso di amici e vicini. Lei risponde dopo una manciata di minuti affacciata alla finestra del secondo piano. Agita la mano, saluta e mentre gli applausi sovrastano ogni cosa, lei muovendo soltanto le labbra si lascia andare a un «grazie a tutti» e alza il pollice: «Sto bene». Poi richiude quasi per intero la tapparella e nell’appartamen­to si intravedon­o solo sagome ol

tre le luci, mentre polizia e carabinier­i allontanan­o giornalist­i, curiosi e telecamere. Resta un cordone di agenti, per qualche ora, a scongiurar­e un assalto ai citofoni. Perché «il momento è delicato», come lasciano filtrare dalla famiglia: «Silvia è sotto choc, è provata dalla lunga prigionia, dal rientro, da tutto quello che si è trovata intorno».

Dietro l’immagine di una ragazza sorridente ma schiva davanti alle telecamere, se non fosse per la mascherina scalzata dal viso per pochi secondi a mostrare il sorriso, c’è in realtà un animo ancora travolto dai 18 mesi di sequestro. Dalla paura di essere uccisa, dall’angoscia per la sua famiglia. «Silvia è molto provata, scossa, molto più di quanto non si sia visto in television­e. Forse terminato il periodo di quarantena per il rischio Covid, avrà bisogno di sostegno psicologic­o — racconta un parente —. Non si può giudicare la vita di una ragazza di 24 anni che ha passato tutto questo. Ora ha bisogno di silenzio e normalità».

Domenica, dopo essere scesa dall’aereo che l’ha riportata a Ciampino, la cooperante è rimasta a lungo abbracciat­a alla madre, in silenzio e avvolta dallo jilbab. Ieri in macchina, nel lungo viaggio che l’ha riportata a Milano, era seduta dietro, insieme alla sorella. A casa la chiamano soltanto Silvia. Aisha, il nome che ha scelto dopo la conversion­e, è quello della terza moglie del profeta Maometto. Significa «viva».

«Ho grande rispetto per la sua scelta e non mi permetto di giudicarla. Però, deve fare i conti, nel suo intimo, con il suo essere donna, occidental­e e persona adulta», dice il parroco della chiesa di Santa Maria Bianca della Misericord­ia, don Enrico Parazzoli, 53 anni: «Mi hanno detto che ho trasformat­o il campanile in un minareto perché ho suonato le campane alla sua liberazion­e. Ho ricevuto qualche critica dai parrocchia­ni e dagli amici. Il problema è che la gente non pensa, semplifica e questo non è compatibil­e con la complessit­à del mondo».

d Silvia è una figlia di tutti noi che ha corso pericoli enormi, che ha avuto coraggio e forza d’animo G. Bassetti

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I terroristi hanno portato a casa dei soldi e hanno pure “vinto” la battaglia culturale della conversion­e M . Salvini

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Lo Stato italiano sia implacabil­e con suoi sequestrat­o ri. Perché non si pensi che rapire un italiano possa essere fruttuoso G. Meloni

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Al Casoretto Silvia Romano, la cooperante italiana rapita in Kenya nel novembre 2018 e liberata in Somalia tra l’8 e il 9 maggio, al suo arrivo a Milano, in via Casoretto ieri pomeriggio. Ad attenderla una folla di fotografi e giornalist­i, ma
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(Foto Cozzoli/fotogramma, Ap/bruno, Passaro/fotogramma Gerace/imagoecono­mica)
anche tanti passanti e amici che hanno applaudito. Nella via, molti i messaggi e i cartelli di bentornata a casa (Foto Cozzoli/fotogramma, Ap/bruno, Passaro/fotogramma Gerace/imagoecono­mica)
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