Il saluto dal balcone
L’arrivo al Casoretto alle 17 con lo «jilbab » e lo zaino portacomputer La folla di amici, uno striscione ambiguo, l’odio sui social: la Procura apre un’inchiesta e la Prefettura valuta se rafforzare la sorveglianza Salvini e Meloni soffiano sulle polemi
MILANO Il cielo grigio del Casoretto, periferia d’orgoglio popolare e Resistenza partigiana, accoglie Silvia Romano fermando per un attimo la pioggia. Il tempo di pochi passi avvolta nelle braccia di un capitano dei carabinieri e nello jilbab verde acqua con cui è tornata in Italia dopo 18 mesi di prigionia: «Sto bene, sto bene».
Quando la sorella Giulia apre lo sportello posteriore della Hyundai Ix35 con cui è arrivata da Roma insieme alla mamma Francesca e al compagno, Silvia ha quasi un sussulto. Solleva il braccio destro per tenere la mascherina, mentre la schiena è piegata dal peso dello zaino nero. Uno zaino moderno, di quelli che indossano migliaia di suoi coetanei all’uscita dagli uffici o dalle università. Il velo e lo zaino portacomputer. Come a marcare l’assoluta normalità di questa ragazza di 24 anni che in qualsiasi parte del mondo sarebbe semplicemente una giovane donna. Ma che oggi nell’italia che odia sui social viene «lapidata» dalle parole di chi le augura stupro e morte per essersi convertita all’islam ed essere tornata nel nostro Paese con il nome di Aisha. adesso costringe la Prefettura di Milano a valutare una sorveglianza più rigorosa al suo palazzo da parte di polizia e carabinieri per il timore di qualche gesto di intolleranza da gruppi neofascisti o xenofobi. E che fa paura alla sua famiglia, come racconta lo zio Alberto: «Per alcuni Silvia è diventata un simbolo di conversione all’islam e adesso ci sono quelli che la vogliono ammazzare. È una situazione molto pesante per tutti noi. Silvia deve essere il simbolo della libera scelta di ciascuno. Non di odio». Una situazione così pesante da portare il pm Alberto Nobili, capo del pool Antiterrorismo della Procura di Milano, a valutare nelle prossime ore l’apertura di un fascicolo d’indagine per «minacce» nei suoi confronti.
Fuori dal portone di casa, accanto a biglietti, fiori e disegni, anche uno striscione appeso dopo la sua liberazione. Le parole vergate a spray con un «carattere» spesso usato da gruppi ultrà di estrema destra: «Perdona l’umano, bentornata Silvia Romano». Un messaggio in rima dal sapore ambiguo e amaro, che ha molto turbato Francesca, la mamma: «Si è resa conto del clima intorno a lei quando è scesa dalla macchina e ha visto quello striscione...», racconta ancora lo zio.
È proprio la madre, mentre
Silvia attraversa la calca di giornalisti e fotografi, ad attardarsi per un attimo intorno alla macchina. Apre il bagagliaio, sfila una valigia scura e per qualche secondo cammina libera dalla ressa. Sotto gli occhiali da vista, gli occhi sono lucidi: «Rispettate questo momento, vi ringrazio». Poi anche lei sparisce nel tunnel di flash e telecamere, quasi travolta da un assalto che non conosce distanziamento sociale e norme contro il coronavirus.
Sono le 17.11 in via Casoretto, Silvia Romano è finalmente a casa. In strada c’è un lungo applauso di amici e vicini. Lei risponde dopo una manciata di minuti affacciata alla finestra del secondo piano. Agita la mano, saluta e mentre gli applausi sovrastano ogni cosa, lei muovendo soltanto le labbra si lascia andare a un «grazie a tutti» e alza il pollice: «Sto bene». Poi richiude quasi per intero la tapparella e nell’appartamento si intravedono solo sagome ol
tre le luci, mentre polizia e carabinieri allontanano giornalisti, curiosi e telecamere. Resta un cordone di agenti, per qualche ora, a scongiurare un assalto ai citofoni. Perché «il momento è delicato», come lasciano filtrare dalla famiglia: «Silvia è sotto choc, è provata dalla lunga prigionia, dal rientro, da tutto quello che si è trovata intorno».
Dietro l’immagine di una ragazza sorridente ma schiva davanti alle telecamere, se non fosse per la mascherina scalzata dal viso per pochi secondi a mostrare il sorriso, c’è in realtà un animo ancora travolto dai 18 mesi di sequestro. Dalla paura di essere uccisa, dall’angoscia per la sua famiglia. «Silvia è molto provata, scossa, molto più di quanto non si sia visto in televisione. Forse terminato il periodo di quarantena per il rischio Covid, avrà bisogno di sostegno psicologico — racconta un parente —. Non si può giudicare la vita di una ragazza di 24 anni che ha passato tutto questo. Ora ha bisogno di silenzio e normalità».
Domenica, dopo essere scesa dall’aereo che l’ha riportata a Ciampino, la cooperante è rimasta a lungo abbracciata alla madre, in silenzio e avvolta dallo jilbab. Ieri in macchina, nel lungo viaggio che l’ha riportata a Milano, era seduta dietro, insieme alla sorella. A casa la chiamano soltanto Silvia. Aisha, il nome che ha scelto dopo la conversione, è quello della terza moglie del profeta Maometto. Significa «viva».
«Ho grande rispetto per la sua scelta e non mi permetto di giudicarla. Però, deve fare i conti, nel suo intimo, con il suo essere donna, occidentale e persona adulta», dice il parroco della chiesa di Santa Maria Bianca della Misericordia, don Enrico Parazzoli, 53 anni: «Mi hanno detto che ho trasformato il campanile in un minareto perché ho suonato le campane alla sua liberazione. Ho ricevuto qualche critica dai parrocchiani e dagli amici. Il problema è che la gente non pensa, semplifica e questo non è compatibile con la complessità del mondo».
d Silvia è una figlia di tutti noi che ha corso pericoli enormi, che ha avuto coraggio e forza d’animo G. Bassetti
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I terroristi hanno portato a casa dei soldi e hanno pure “vinto” la battaglia culturale della conversione M . Salvini
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Lo Stato italiano sia implacabile con suoi sequestrato ri. Perché non si pensi che rapire un italiano possa essere fruttuoso G. Meloni