Corriere della Sera

Mascherine, scorte finite: scontro farmacisti-arcuri Le accuse di Confindust­ria

Federfarma denuncia anche la scarsità di alcol e guanti Il commissari­o: le chirurgich­e mancano per colpa dei distributo­ri. Le imprese della moda: è consigliat­o male

- di Margherita De Bac e Maria Silvia Sacchi

Apiù di un mese dall’inizio del percorso che avrebbe dovuto rendere disponibil­i le mascherine in tutta Italia e a un prezzo calmierato (per quelle chirurgich­e) di 50 centesimi (+Iva), si infiamma lo scontro con il commissari­o per l’emergenza Domenico Arcuri. Mentre i dispositiv­i che proteggono dal virus continuano a mancare sul mercato. Ieri è stato un botta e risposta tra Federfarma e Confindust­ria moda, da una parte, e Arcuri, dall’altra.

«Nella quasi totalità delle farmacie dove sono state consegnate a prezzo calmierato, per esempio a Roma, le mascherine chirurgich­e sono già finite. Non sono state ancora consegnate in altre grandi città come Milano e Torino. Le ingenti quantità promesse, affinché queste ultime fossero nella disponibil­ità delle farmacie, purtroppo non sono arrivate», ha denunciato Marco Cossolo, presidente di Federfarma. «Mi viene da dire che Arcuri è consigliat­o male», ha incalzato a sua volta Gianfranco Di Natale, direttore generale per gli affari istituzion­ali di Confindust­ria moda.

«La colpa non è mia, ma di distributo­ri e farmacisti. Le farmacie — ha replicato Arcuri — non hanno le mascherine perché due società di distribuzi­one hanno dichiarato il falso, non avendo nei magazzini i 12 milioni di mascherine che sostenevan­o di avere». E ancora: «Il prezzo massimo è stato fissato nell’esclusivo interesse dei cittadini. Chi oggi afferma di non avere mascherine e di aver bisogno delle forniture del Commissari­o, fino a qualche settimana fa le aveva e le faceva pagare ben di più ai cittadini».

Intanto, però, sul mercato non si trovano. E non solo loro. «C’è una fortissima carenza da Nord a Sud anche di alcol e guanti», lamenta il segretario nazionale di Federfarma, Roberto Tobia. Le materie prime sono andate alle stelle, i fornitori hanno applicato il rincaro e i rivenditor­i si ritrovano a pagare un costo d’acquisto altissimo. «Un pacco di guanti da 100 pezzi ci è stato offerto a 22 euro, rispetto ai 5 dell’era pre-covid», dice Cossolo.

Le imprese produttric­i di mascherine in Italia ci sarebbero, ma non al prezzo imposto dal governo. Spiega Di Natale: «Il governo ci aveva chiesto di creare una filiera “autarchica” per la produzione di mascherine: in 10 giorni abbiamo messo insieme 200 ditte e in 15 giorni siamo andati in produzione. Oggi abbiamo un totale di 400 aziende in grado di far uscire 5 milioni di pezzi alla settimana. Mi riferisco ai dispositiv­i del terzo tipo, quelli per la collettivi­tà, art. 16 secondo comma del decreto». Quindi non alle chirurgich­e, indicate per uso medico ma molto richieste dai cittadini in farmacia. Mentre la moda si mobilitava, «ci siamo ritrovati, da una parte, con un prezzo limitato a 50 cent senza che nessuno ci avesse chiesto niente, e dall’altra leggiamo sui giornali che le scorte arrivate dalla Cina per la gran parte sono senza certificaz­ione. Abbiamo perso inutilment­e tempo». Non solo, le aziende hanno investito per riconverti­re le produzioni. E, infatti, la moda ha protestato immediatam­ente non appena saputo il prezzo imposto. Proteste che il commissari­o aveva bollato come «sentenze di liberisti da divano con cocktail in mano».

«Non vogliamo fare polemiche — dice Di Natale —, solo mettere l’accento su problemi ai quale forse non si è prestata attenzione». Le mascherine frutto della riconversi­one

Gli industrial­i

Di Natale: per la filiera di produzione italiana il prezzo corretto sarebbe di 1,50 euro

hanno un costo al produttore — spiega — che va dai 45 ai 60 centesimi e venivano vendute ai rivenditor­i attorno ai 90 centesimi. Il prezzo corretto al pubblico sarebbe, dunque, attorno a 1,50 euro. Si tratta per lo più di modelli lavabili, dunque riutilizza­bili, in tnt (tessuto non tessuto), di qualità, realizzate secondo le indicazion­i del decreto Cura Italia. «Non c’è solo il tema del prezzo, ma anche della sostenibil­ità — dice Di Natale —. I 50 centesimi riguardano le mascherine chirurgich­e, che hanno una vita da 4 a 6 ore. Se immaginiam­o 40 milioni di italiani che dovrebbero indossarle, dobbiamo pensare a 60 milioni di pezzi al giorno. Come le smaltiamo? Ieri sono andato a fare una corsa in un parco e le ho trovate buttate in giro».

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