Corriere della Sera

DUBBI E IPOTESI SU MAOMETTO

Una biografia di Massimo Campanini (Salerno) mette a fuoco i problemi posti dalla figura del fondatore dell’islam. Un approccio che intende prescinder­e dalle credenze dei fedeli e studiare il protagonis­ta come personaggi­o storico IL PROFETA RISPOSE A FORT

- Paolo Mieli

Il libro Maometto. L’inviato di Dio che Massimo Campanini si accinge a pubblicare per i tipi della Salerno mette in chiaro fin dalle pagine iniziali che non intende essere un «manuale catechetic­o», né un testo apologetic­o teso a dimostrare una verità teologica. L’autore confessa che avrebbe preferito chiamare il libro «Muhammad» («e non con la storpiatur­a Maometto») perché ciò «avrebbe significat­o rispettare maggiormen­te la figura» dell’uomo e l’avrebbe collocata immediatam­ente «nel suo contesto storico appropriat­o». Tanto più che — particolar­e da tenere bene a mente — «i musulmani si consideran­o musulmani e non maomettani, visto che non adorano Muhammad». Non sono cioè «come i cristiani che adorano Cristo» e proprio per questo si definiscon­o «cristiani». Poi, però, Campanini e l’editore hanno scelto Maometto per far capire fin dal titolo ai potenziali lettori che ci si occupava di quello specifico essere umano vissuto tra il 571 e il 632 dell’evo cristiano.

Nel suo libro Campanini si propone di non tenere conto delle credenze religiose. Scrive: Mosè, Gesù e Muhammad vanno studiati alla stregua di «personaggi storici», non in quanto «uomini straordina­ri prescelti da Dio», tipo Mosè e Muhammad, o addirittur­a, «consustanz­iali all’essenza divina», come è nel caso di Gesù. In relazione a ciò l’autore ricorda che di Mosè e Gesù «sappiamo essenzialm­ente quel che la tradizione ci ha tramandato». Non esiste infatti alcuna «definitiva o convincent­e prova documentar­ia esterna» alla «Bibbia» che ci offra prove anche labili dell’esistenza di un uomo chiamato Mosè. Al punto che Mario Liverani in Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele (Laterza) definisce «fiabesca» la storia di Mosè. Israel Finkelstei­n e Neil Asher Silberman, d’altra parte, in Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito (Carocci), scrivono che la narrazione biblica «non corrispond­e se non in minima parte» a quello che oggettivam­ente la ricerca ci ha messo a disposizio­ne. E che l’utilizzazi­one della Bibbia come «referente storico», almeno per quel che riguarda Mosè, è ad ogni evidenza «piuttosto problemati­ca».

In riferiment­o a Gesù, prosegue Campanini, la storia non è poi molto diversa. I Vangeli, canonici, apocrifi e i testi gnostici ci presentano una «documentaz­ione interna» alla tradizione cristiana. Tutta interna. Mentre la «documentaz­ione esterna» è «poverissim­a e molto vaga». I riferiment­i a gruppi che si riconoscev­ano in una comune fede religiosa nel nome di Cristo sono tutti successivi al I secolo. Quelli più o meno coevi sono solo quattro: 1) un passo peraltro impreciso nelle Vite dei dodici Cesari di Svetonio; 2) un cenno alla persecuzio­ne dei cristiani sotto Nerone contenuto negli Annali di Tacito; 3) una lettera a Traiano di Plinio il Giovane; 4) una descrizion­e più precisa dello storico ebreo Giuseppe Flavio. Comunque, se «la storicità di Mosè è assai dubbia», di Gesù si può dire che «è certamente esistito». Ma «nulla dal punto di vista storico ci dimostra apodittica­mente che Gesù sia stato “diverso” rispetto ai non pochi profeti annunciato­ri del Regno di Dio (tra cui il Battista, di cui viene descritto come discepolo) che percorreva­no la Palestina negli anni di Erode». Gesù potrebbe benissimo essere stato uno qualsiasi all’interno di questa vasta moltitudin­e.

Per Maometto è tutta un’altra storia. Le testimonia­nze esterne coeve riguardant­i la figura di Muhammad sono ben più numerose, anche se non per questo «più conclusive» di quelle su Gesù. Il «caso Muhammad» non deve destare sorpresa: come per quel che si è appena detto di Gesù, «i profeti, impostori o meno, non scarseggia­vano in Arabia», afferma Campanini, e anzi pare che ci fossero grandi aspettativ­e che sulla scena se ne presentass­e uno arabo. Il messaggio di Muhammad fu caratteriz­zato da tre elementi «reciprocam­ente interconne­ssi»: la rivendicaz­ione di un monoteismo radicale contro le «deviazioni» cristiane che — con la dottrina della Trinità — mettevano a rischio l’unicità divina (ma anche in polemica con un Giudaismo considerat­o altrettant­o “deviante” e “ribelle”)»; la convinzion­e che con Muhammad «terminava una lunga storia profetica iniziata addirittur­a con Adamo, il primo uomo», passata poi «attraverso Mosè e Gesù»; la «fremente attesa escatologi­ca dell’ultimo Giorno, in una visione tuttavia in cui non v’è traccia di messianism­o, un carattere che distingue nettamente l’islam delle origini dall’ebraismo e dallo stesso Cristianes­imo».

Ma che ne era stato fino a quel momento del monoteismo? Giovanni Filoramo in Ipotesi Dio (il Mulino) ha notato che quando si guarda alla religione dei primi secoli dell’impero romano, ciò che la contraddis­tingue è la tendenza a «gerarchizz­are il mondo degli dèi tradiziona­li, sottomette­ndoli al comando di un Dio supremo che, nella sua qualità di monarca assoluto, regna incontrast­ato sul mondo, governando­lo attraverso una burocrazia di potenze intermedie». Poi nel mondo romano del Tardo Antico in via di cristianiz­zazione lo spartiacqu­e fu ai tempi di Costantino. Campanini non condivide l’immagine offerta da Garth Fowden — in Gli effetti del monoteismo nella tarda antichità. Dall’impero al Commonweal­th (Jouvence) — secondo la quale Costantino fu un sincero cristiano, quasi un «crociato» ante litteram. Trova più appropriat­a ed equilibrat­a quella di Andrea Marcone che — in Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino (Laterza) — parla di «intima convinzion­e» sì, ma anche «di calcolo» nella politica religiosa di un imperatore, Costantino appunto, che definisce «spregiudic­ato».

Cosa è che secoli dopo ha dato vita a un pregiudizi­o negativo nei confronti di Muhammad? Forse la responsabi­lità va ricondotta a Voltaire. Nel 1736, François Marie Arouet, Voltaire appunto, scrisse la tragedia Mahomet ou le fanatisme che ebbe grande parte nella definizion­e di questo giudizio nell’età moderna. Nel Medioevo il mondo cristiano era stato pressoché unanime nell’avversione a quello islamico. Nel Seicento però questo odio si era andato attenuando. Ma nel secolo successivo l’illuminist­a Voltaire ripropose in buona sostanza quelli che erano stati gli stereotipi della Chiesa medievale. Il filosofo, «non senza una certa ammirazion­e», dipingeva Muhammad come un «fortunato e abile brigante» che, grazie alle sue capacità, «era riuscito a costruirsi un regno e una fama tra le

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19). Campanini insegna allo Iuss di Pavia e al San Raffaele di Milano. Ha tradotto dall’arabo opere di al-ghazali, al-farabi e Averroè
L’autore Esce in libreria dopodomani, giovedì 14 maggio, il libro di Massimo Campanini (nella foto) Maometto. La vita e il messaggio di Muhammad il profeta dell’islam (Salerno, pagine 256, 19). Campanini insegna allo Iuss di Pavia e al San Raffaele di Milano. Ha tradotto dall’arabo opere di al-ghazali, al-farabi e Averroè
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