Vista miope al posto di idee e piani di rilancio
Sarebbe meglio se il governo del calcio progettasse il suo futuro riunendo tutte le forze in campo, a cominciare da quelle mediche, una partnership che nessuno fino a tre mesi fa poteva immaginare: colpa del maledetto virus che ha complicato la vita di tutti. L’appello del calcio dovrebbe essere rivolto ovviamente a tutte le Leghe, all’istituzione sportiva sovrana, il Coni. Senza dimenticare di chiedere contributi e illuminazioni a forze economiche, industriali e intellettuali. Il calcio italiano oltre a essere indebitato ha bisogno di idee, nuovi uomini, programmi, studi, ricerche e soldi (non sono certo la peste). Non proponiamo l’ennesimo convegno da «stati generali»: no, idee che diventino fatti. Gravina assuma un ruolo centrale, senza sherpa che lo prendano per mano. Invece, siamo qui a discutere di ripresa sì, ripresa no del campionato, con una vista miope, strabica, dove le prospettive si contraddicono giorno dopo giorno. Così non va. Così non ci si rialza dal torpore, dalla pigrizia, piegati sul proprio ombelico. Desideriamo il gol, lo sogniamo persino. Ma la ripartenza non può essere debole, fragile, timida. Il Comitato tecnico scientifico, che ha l’unico difetto di sentirsi interprete del Vangelo, quando si sa che non è così, a partire dal caso mascherine, materia dove dovrebbe essere ferrato, ha già bocciato due volte la Federcalcio in questa sua smania di ripartire. Ieri ha giudicato «largamente lacunosa e imperfetta» la relazione della Federcalcio che fissa le «sue» regole per riprendere gli allenamenti il 18 maggio. In pratica gli scienziati governativi hanno intimato alla Figc: a casa a studiare e a rifare compiti. E state attenti a farli bene. Poi, il 18 ci si potrà allenare tutti insieme. Con il pericolo incombente di una nuova positività, ci sono squadre che ne hanno, eccome se ne hanno, davanti alla quale i professoroni pretendono che si seguano «le nostre indicazioni da considerarsi stringenti e vincolanti». Da qui non si esce, meglio capirlo.