Scrittori e scienziati: 17 voci raccontano il virus che ci ha cambiato
Racconti, riflessioni, analisi, poesie, memorie di scrittori, scienziati, medici nei drammatici giorni della pandemia. In attesa di un nuovo domani
Ognuno è da solo davanti allo sgomento del morbo e ai timori per un futuro incerto
Tutti i momenti, tutti gli aspetti di questi mesi difficili trovano posto nell’antologia
Da oggi con il «Corriere» il volume che raccoglie 17 testimonianze d’autore
Milioni di persone in tutto il pianeta attraversano la stessa condizione di lockdown, di distanziamento e isolamento, sia pure in fasi diverse: siamo tutti soli con noi stessi. Dove per «noi» si intende la casa, il proprio domicilio, il proprio io costretto nella solitudine o in una convivenza forzata: ognuno è da solo davanti allo sgomento del morbo e ai timori per i propri cari, per il lavoro, per un futuro incerto.
Per ricordarci che «noi» è in realtà un luogo condiviso, in questi giorni, più o meno simile a qualsiasi latitudine, da oggi sarà in edicola per un mese con il «Corriere della Sera» un’antologia di racconti, riflessioni, analisi, poesie, memorie drammatiche ma anche ironiche su questi tempi. È il volume C’è un posto nel mondo. Siamo noi (il prezzo è di 8,90 più il costo del quotidiano): il libro contiene diciassette testimonianze, alcune edite, altre inedite o di prossima pubblicazione, di scrittrici, scrittori e scienziati, più la prefazione del direttore del «Corriere della Sera» Luciano Fontana, su quest’isolamento e sull’emergenza che lo ha provocato.
I contributi sono diversi tra loro, ma hanno qualcosa di speciale in comune, ed è proprio il luogo in cui ci troviamo tutti, il «noi» che risuona nel titolo del libro. Dopo la prefazione del direttore Fontana, che ripercorre il drammatico calendario della pandemia, dal 21 febbraio (quando «il nostro mondo cambiò», ricorda) fino all’inizio della Fase 2 con le sue incertezze, il volume si apre e si chiude con la voce di Sandro Veronesi, sui valori di umanità che nemmeno la pandemia deve cancellare. La sua poesia Qui, primo contributo del libro, ripercorre le immagini che non dimenticheremo, come la pioggia nella piazza San Pietro deserta durante la benedizione del Pontefice o l’agghiacciante elenco quotidiano dei morti; mentre in chiusura del volume, sempre a firma del premio Strega 2006, c’è la prosa Il virus sono io, testo che ha inaugurato su «la Lettura» il Diario dei giorni del contagio tenuto a staffetta da otto scrittori, e ci riporta al principio dell’incubo, i primi giorni del lockdown con l’incredulità e il terrore, nient’altro, a tenerci compagnia. Anche altri autori del Diario a staffetta come Silvia Avallone, Teresa Ciabatti e Maurizio de Giovanni entrano in C’è un posto nel mondo. Siamo noi con i loro racconti.
Tutti i momenti, tutti gli aspetti di questi mesi trovano posto nell’antologia: c’è lo sguardo della ricerca, con l’analisi di Ilaria Capua e di Alberto Mantovani, che si soffermano sul ruolo vitale della scienza, che avremmo dovuto riconoscere prima e che non dovremo dimenticare quando la pandemia sarà placata. Intorno alla riscoperta della propria formazione e passione scientifica scrive Paolo Giordano, che nel lavoro e nello studio matematico dei dati riesce a dare un ritmo alle giornate tutte uguali dell’isolamento. Quanto sia vasto e imprevedibile il potere delle trasformazioni storiche emerge poi dalla riflessione di Claudio Magris, che ragiona anche sulle alternative possibili, sull’impronta che possiamo cercare di dare alla Storia; per esempio, ricordando la cura e il rispetto dovuti ai nostri anziani, tra le categorie più a rischio nella pandemia, come scrive Dacia Maraini. E sempre intorno al dato storico ragiona Antonio Scurati, con un parallelismo tra l’italia del dopoguerra e la ricostruzione che ci aspetta.
Mentre si scorrono i testi del libro, ci si accorge che quest’aura sanza tempo tinta (Dante, Inferno, Canto III), dalla quale forse stiamo uscendo, è stata tutt’altro che sempre uguale e uniforme. Anzi sono stati tanti gli umori attraversati: lo si nota anche nei racconti degli autori internazionali che entrano nell’antologia. André Aciman, che pure è avvezzo a un certo grado di (auto)isolamento sociale, mette l’accento sull’impronta che «questa» solitudine traumatica ci lascerà adosso; Catherine Dunne, che racconta i primi tempi dell’allarme in Irlanda, rievoca l’immagine forte e semplice di San Patrizio che scacciò i serpenti dall’isola; Richard Ford, che osserva l’esplosione del virus negli Usa, racconta la pericolosa disgregazione dell’unità americana; il premio Nobel Olga Tokarczuk, che prende nota delle paure xenofobe montanti in Polonia insieme al virus, ragiona sul mondo che verrà; e Leïla Slimani annota la differenza tra la solitudine che cerchiamo per concentrarci e lavorare e questo isolamento forzato. Ma ci sono anche le parentesi tragicomiche narrate da Etgar Keret, alle prese con l’insonnia e con l’ansia (proprie) e con la condiscendenza paziente (della moglie); e da Eshkol Nevo, che immagina un’economia alternativa (la pornografia?) per un attore bloccato dall’isolamento e improvvisatosi cineasta.
Quello che accomuna tutti, di qua o di là dall’oceano, è il luogo in cui sono ambientati i racconti e le testimonianze: cioè appunto il luogo in cui ci troviamo, noi stessi. Non c’è autore che ometta di raccontare da dove sta scrivendo, ed è la propria testa, il proprio cuore, la casa, la corsia, il laboratorio, la coda per il supermercato, il divano, la scrivania del telelavoro, il balcone, il cortile di casa. E tutti ci comunicano la sensazione che si debba partire proprio da quel posto nel mondo, da sé stessi, dal fatto di essersi scoperti identici, ma anche unici con le nostre idiosincrasie, le nostre competenze e il nostro modo di vedere il mondo, per ricominciare.