«C’è il rischio di frammentare il mercato Ue»
La vicepresidente della Commissione, Margrethe Vestager, titolare anche dell’antitrust: l’emergenza ci permette di autorizzare molti più aiuti di Stato
Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue dice al Corriere: «C’è il concreto rischio di una frammentazione del mercato unico l’emergenza permette più aiuti di Stato».
La decisione di allentare le regole sugli aiuti di Stato è uno dei primi interventi adottati dalla Commissione europea per affrontare la crisi scatenata dal Covid insieme alla sospensione del Patto di stabilità. Ma ora si cominciano a vederne gli effetti. «C’è il rischio di una frammentazione del mercato unico», ammette la vicepresidente della Commissione Margrethe Vestager, titolare anche dell’antitrust Ue, in un’intervista a un gruppo di testate europee. Venerdì scorso ha dato il via libera all’estensione delle deroghe già introdotte per gli aiuti di Stato il 19 marzo e il 3 aprile, che consente l’intervento pubblico nel capitale e l’emissione di debito subordinato ma con alcuni paletti.
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I big tech che devono avere obblighi chiari e impegni fiscali
Il mercato unico rischia di frammentarsi?
«C’è questo rischio. La nuova base legale di emergenza ci permette di autorizzare molti più aiuti di Stato che in situazione di normalità. Non possiamo autorizzare aiuti di Stato che non siano proporzionali, uno Stato non può sovracompensare. Un Paese che può fare molto e lo fa non sta facendo qualcosa di sbagliato. Però ci sono Stati membri che non hanno lo spazio fiscale per fare lo stesso. Ecco perché stiamo lavorando intensamente al Recovery Instrument collegato al bilancio Ue per avere una ripresa paneuropea più veloce e forte, che ha tra i suoi obiettivi quello di limitare la frammentazione del mercato unico».
Circa il 52% degli aiuti di Stato finora autorizzati sono andati ad aziende tedesche. Al termine della crisi saranno più avvantaggiate?
«È difficile prevedere quale sarà il risultato finale. Le conseguenze ci sono non solo ora in termini di liquidità pubblica, anche dopo quando ci potrà essere un bisogno di ricapitalizzazione delle aziende. È molto importante concentrarsi su un approccio paneuropeo: sia per le aziende che si trovano nei Paesi in cui gli aiuti di Stato possono essere dati in un ammontare sufficiente sia per i loro clienti e i loro fornitori in altri Stati membri è fondamentale che ci sia ancora concorrenza nel mercato unico».
Perché la Commissione non ha imposto condizioni «green» e si è limitata a vietare dividendi o payback?
«Quando abbiamo introdotto le deroghe per gli aiuti di Stato e consentito l’intervento pubblico nel capitale abbiamo fatto un atto bilanciato: da un lato i contribuenti devono essere remunerati per l’aver messo capitale nelle aziende e dall’altro lo Stato deve essere incentivato a uscire il più velocemente possibile, perché più a lungo vi rimane e maggiore è il rischio di una distorsione della concorrenza. Ecco perché è stato deciso che i manager non possano avere bonus, gli azionisti dividendi e sono vietate operazioni di buyback. Siamo in emergenza e l’obiettivo del nuovo quadro regolatorio temporaneo è salvare valore, ripristinare la posizione patrimoniale com’era prima della crisi».
A quanto ammonterà il Recovery Instrument?
«È ancora in corso da parte della Commissione una valutazione macroeconomica ma stiamo anche guardando le differenti catene del valore».
Le nuove regole sulle nazionalizzazioni prevedono che l’aiuto da parte dello Stato non dovrebbe andare oltre il ripristino della struttura del capitale del beneficiario prima dell’epidemia di coronavirus. Come deve essere calcolato?
«Suggeriamo strumenti differenti: l’intervento pubblico nel capitale, soluzioni ibride o l’emissione di debito subordinato per dare allo Stato flessibilità di intervento a seconda della situazione. Deve essere fatta una media del valore dei 15-30 giorni prima della richiesta di aiuto, questo permetterà allo Stato di godere di un certo sconto. Dovrebbe anche spingere gli azionisti a tenere lo Stato nel capitale il meno possibile».
Questa crisi rischia di rendere i giganti tech molto più forti e ancora più difficili da regolamentare?
«Un intervento è ancora più urgente, anche se è meraviglioso avere avuto e continuare ad avere a disposizione le tecnologie digitali in questo confinamento perché in caso contrario la situazione sarebbe stata molto più difficile. Non c’è solo Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon). Dobbiamo avanzare sul nostro lavoro: i big tech che offrono servizi digitali devono avere obblighi chiari e impegni fiscali, bisogna preservare la competizione. Ci sono tantissime startup che offrono servizi e stanno crescendo».
Come pensate di risolvere il dilemma tra protezione della privacy e lotta al virus legato alle app di tracciabilità?
«Servono entrambi e abbiamo anche bisogno di viaggiare, quindi queste applicazioni devono essere in grado di dialogare tra loro e con i sistemi dei diversi operatori Apple e Google. Per questo stiamo spingendo per avere un approccio europeo. È una sorta di test in cui mettiamo i nostri valori nella vita di tutti i giorni: vogliamo sconfiggere il virus ma vogliamo mantenere la nostra privacy. La app deve essere volontaria».
C’è il rischio che fondi statali cinesi entrino nei capitali delle aziende europee?
«Non è una domanda che riguarda solo fondi statali cinesi. Ci può essere il rischio di shopping delle imprese europee se la nostra ripresa sarà più lenta che altrove. Ma vigiliamo e gli Stati membri a loro volta possono intervenire entrando nelle aziende o con un screening degli investimenti stranieri. Dobbiamo minimizzare il rischio di una competizione sleale».