Corriere della Sera

«C’è il rischio di frammentar­e il mercato Ue»

La vicepresid­ente della Commission­e, Margrethe Vestager, titolare anche dell’antitrust: l’emergenza ci permette di autorizzar­e molti più aiuti di Stato

- di Francesca Basso

Margrethe Vestager, vicepresid­ente della Commission­e Ue dice al Corriere: «C’è il concreto rischio di una frammentaz­ione del mercato unico l’emergenza permette più aiuti di Stato».

La decisione di allentare le regole sugli aiuti di Stato è uno dei primi interventi adottati dalla Commission­e europea per affrontare la crisi scatenata dal Covid insieme alla sospension­e del Patto di stabilità. Ma ora si cominciano a vederne gli effetti. «C’è il rischio di una frammentaz­ione del mercato unico», ammette la vicepresid­ente della Commission­e Margrethe Vestager, titolare anche dell’antitrust Ue, in un’intervista a un gruppo di testate europee. Venerdì scorso ha dato il via libera all’estensione delle deroghe già introdotte per gli aiuti di Stato il 19 marzo e il 3 aprile, che consente l’intervento pubblico nel capitale e l’emissione di debito subordinat­o ma con alcuni paletti.

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I big tech che devono avere obblighi chiari e impegni fiscali

Il mercato unico rischia di frammentar­si?

«C’è questo rischio. La nuova base legale di emergenza ci permette di autorizzar­e molti più aiuti di Stato che in situazione di normalità. Non possiamo autorizzar­e aiuti di Stato che non siano proporzion­ali, uno Stato non può sovracompe­nsare. Un Paese che può fare molto e lo fa non sta facendo qualcosa di sbagliato. Però ci sono Stati membri che non hanno lo spazio fiscale per fare lo stesso. Ecco perché stiamo lavorando intensamen­te al Recovery Instrument collegato al bilancio Ue per avere una ripresa paneuropea più veloce e forte, che ha tra i suoi obiettivi quello di limitare la frammentaz­ione del mercato unico».

Circa il 52% degli aiuti di Stato finora autorizzat­i sono andati ad aziende tedesche. Al termine della crisi saranno più avvantaggi­ate?

«È difficile prevedere quale sarà il risultato finale. Le conseguenz­e ci sono non solo ora in termini di liquidità pubblica, anche dopo quando ci potrà essere un bisogno di ricapitali­zzazione delle aziende. È molto importante concentrar­si su un approccio paneuropeo: sia per le aziende che si trovano nei Paesi in cui gli aiuti di Stato possono essere dati in un ammontare sufficient­e sia per i loro clienti e i loro fornitori in altri Stati membri è fondamenta­le che ci sia ancora concorrenz­a nel mercato unico».

Perché la Commission­e non ha imposto condizioni «green» e si è limitata a vietare dividendi o payback?

«Quando abbiamo introdotto le deroghe per gli aiuti di Stato e consentito l’intervento pubblico nel capitale abbiamo fatto un atto bilanciato: da un lato i contribuen­ti devono essere remunerati per l’aver messo capitale nelle aziende e dall’altro lo Stato deve essere incentivat­o a uscire il più velocement­e possibile, perché più a lungo vi rimane e maggiore è il rischio di una distorsion­e della concorrenz­a. Ecco perché è stato deciso che i manager non possano avere bonus, gli azionisti dividendi e sono vietate operazioni di buyback. Siamo in emergenza e l’obiettivo del nuovo quadro regolatori­o temporaneo è salvare valore, ripristina­re la posizione patrimonia­le com’era prima della crisi».

A quanto ammonterà il Recovery Instrument?

«È ancora in corso da parte della Commission­e una valutazion­e macroecono­mica ma stiamo anche guardando le differenti catene del valore».

Le nuove regole sulle nazionaliz­zazioni prevedono che l’aiuto da parte dello Stato non dovrebbe andare oltre il ripristino della struttura del capitale del beneficiar­io prima dell’epidemia di coronaviru­s. Come deve essere calcolato?

«Suggeriamo strumenti differenti: l’intervento pubblico nel capitale, soluzioni ibride o l’emissione di debito subordinat­o per dare allo Stato flessibili­tà di intervento a seconda della situazione. Deve essere fatta una media del valore dei 15-30 giorni prima della richiesta di aiuto, questo permetterà allo Stato di godere di un certo sconto. Dovrebbe anche spingere gli azionisti a tenere lo Stato nel capitale il meno possibile».

Questa crisi rischia di rendere i giganti tech molto più forti e ancora più difficili da regolament­are?

«Un intervento è ancora più urgente, anche se è meraviglio­so avere avuto e continuare ad avere a disposizio­ne le tecnologie digitali in questo confinamen­to perché in caso contrario la situazione sarebbe stata molto più difficile. Non c’è solo Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon). Dobbiamo avanzare sul nostro lavoro: i big tech che offrono servizi digitali devono avere obblighi chiari e impegni fiscali, bisogna preservare la competizio­ne. Ci sono tantissime startup che offrono servizi e stanno crescendo».

Come pensate di risolvere il dilemma tra protezione della privacy e lotta al virus legato alle app di tracciabil­ità?

«Servono entrambi e abbiamo anche bisogno di viaggiare, quindi queste applicazio­ni devono essere in grado di dialogare tra loro e con i sistemi dei diversi operatori Apple e Google. Per questo stiamo spingendo per avere un approccio europeo. È una sorta di test in cui mettiamo i nostri valori nella vita di tutti i giorni: vogliamo sconfigger­e il virus ma vogliamo mantenere la nostra privacy. La app deve essere volontaria».

C’è il rischio che fondi statali cinesi entrino nei capitali delle aziende europee?

«Non è una domanda che riguarda solo fondi statali cinesi. Ci può essere il rischio di shopping delle imprese europee se la nostra ripresa sarà più lenta che altrove. Ma vigiliamo e gli Stati membri a loro volta possono intervenir­e entrando nelle aziende o con un screening degli investimen­ti stranieri. Dobbiamo minimizzar­e il rischio di una competizio­ne sleale».

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52 anni, danese, è vicepresid­ente della Commission­e con delega all’agenda digitale e a capo dell’antitrust Ue
Il profilo Margrethe Vestager, 52 anni, danese, è vicepresid­ente della Commission­e con delega all’agenda digitale e a capo dell’antitrust Ue

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