Corriere della Sera

Il diario della prigionia: «Un mese nella giungla Il computer, le preghiere, il rito con i carcerieri»

Ha detto di non essere mai stata incatenata o picchiata in 18 mesi «Volevo pregare, mi hanno dato il Corano in arabo e in italiano» Alla liberazion­e: «Terrò questo vestito. Ora mi chiamo Aisha»

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

«Sono Silvia Romano, è il 17 gennaio 2020. Mi appello a voi... Vi imploro... Liberatemi, fatemi tornare a casa».

Lo sguardo è fisso, la testa coperta dal velo. Nel video consegnato ad aprile la voce della ragazza è pacata, ma lo sguardo tradisce la disperazio­ne. E nel racconto che Silvia ha consegnato al magistrato Sergio Colaiocco e al colonnello del Ros Marco Rosi, emerge la stessa ansia, anche se lei ripete in continuazi­one «sto bene, ho avuto paura solo all’inizio, dopo no. Mi trattavano bene».

«Fango fino alla vita»

«Qualche giorno prima del rapimento erano venuti a cercarmi due uomini al villaggio di Chakama in Kenya. Quando l’ho saputo non ho dato importanza alla cosa». E invece poi arrivano in quattro con due moto e la portano via. «Il viaggio nella giungla è stato tremendo. Le moto si sono rotte subito e quindi abbiamo continuato a piedi per un mese. Mi hanno tagliato i capelli perché dovevamo passare in mezzo ai rovi. Ero terrorizza­ta. Faceva caldo, ma poi la notte c’era freddo e dormivamo all’aperto. Mi hanno dato i vestiti e anche alcune coperte. Abbiamo dovuto attraversa­re un fiume. Il fango mi arrivava alla vita. Dopo ho saputo che siamo stati in cammino un mese». Quando arrivano nella prima casa Silvia è stremata. «Mi hanno chiuso in una stanza, dormivo su un pagliericc­io. Mi davano da mangiare e non mi hanno mai trattata male, non sono stata incatenata o picchiata. Non sono stata violentata. Però ho chiesto un quaderno. Volevo tenere il tempo, capire quando era giorno e quando scendeva la notte. Volevo scrivere tutto. Ho chiesto anche di poter leggere, libri».

«Leggevo libri e pregavo»

Le portano un computer non collegato e un quaderno. «Volevo pregare e mi hanno messo il Corano scritto in arabo e in italiano. Mi hanno anche dato dei libri. Ero sempre da sola e a un certo punto mi sono avvicinata a una realtà superiore. Pregavo sempre di più, passavo il tempo a studiare quei testi. Ho imparato anche un po’ di arabo». In quel momento la conversion­e è già cominciata. Silvia ne parla con il suo carceriere che conosce l’inglese, quello che «per me era il capo». E alla fine c’è anche lui quando si celebra la shahada, la cerimonia per l’adesione all’islam. Lei recita la formula e in quel momento si converte. «Pregavo e guardavo video. Mi mettevano filmati su quello che accadeva fuori, li prendevano da Al Jazeera. Io vivevo chiusa nella stanza ma sentivo vociare fuori e il richiamo del muezzin. Questo mi ha fatto pensare che fossero caseggiati, erano villaggi con altre persone anche se io ho visto soltanto i sei uomini che mi tenevano prigionier­a. Erano divisi in due gruppi da tre. Non ho mai visto donne».

«È venuto il dottore»

Le fanno cambiare rifugio e

Le moto, i capelli Video e preghiera Carcerieri a volto coperto

Le moto si sono rotte Pregavo e guardavo Mi hanno sempre dato da

subito e quindi abbiamo video. Mi mettevano mangiare, se la sera

continuato a piedi per un filmati su quello che eravamo in viaggio e

mese. Mi hanno tagliato i accadeva fuori, li faceva freddo mi davano

capelli perché dovevamo prendevano da «Al le coperte. Non li ho mai

passare in mezzo ai rovi. Jazeera». Io vivevo visti, perché quando

Ero terrorizza­ta. chiusa nella stanza ma entravano avevano

Abbiamo guadato un sentivo vociare fuori il volto coperto, però

fiume, fango fino alla vita e il richiamo del muezzin li riconoscev­o dalla voce ogni viaggio lo fa a piedi «oppure sui carretti, qualche volta abbiamo usato la macchina. Sono sempre stata nelle case, chiusa in una stanza». Per due volte sta male, tanto male. «Avevo dolori forti e la febbre, hanno fatto venire il dottore e mi hanno curata. Mi hanno sempre dato da mangiare, se la sera eravamo in viaggio per i trasferime­nti e faceva freddo mi davano le coperte». Lentamente Silvia si abitua a stare con i suoi carcerieri. «Non li ho mai visti perché entravano con il volto coperto, però ormai li riconoscev­o dalla voce anche se parlavano solo arabo». I video li gira invece davanti a un telefonino. Sono tre, cambia la data ma il testo che le fanno recitare è lo stesso. Lei annota tutto sul diario. «Volevo sapere la data, volevo sapere quanto tempo passava».

«Mi disse “ti liberiamo”»

All’improvviso entra l’uomo che parla inglese. «Mi disse che l’operazione era finita, che mi liberavano. Dopo qualche giorno è venuto a prendermi. Mi ha fatto salire su un carretto trainato da un trattore. Sopra c’era un tavolo. Il viaggio è durato tre giorni e due notti. per dormire mi sono messa sotto il tavolo con le coperte». Arrivano all’appuntamen­to con chi deve prenderla in consegna, lei sale su una macchina. «C’erano due uomini, erano somali. Abbiamo fatto un tratto che non è durato tanto». Sono circa 30 chilometri. La portano prima in un compound militare, poi la trasferisc­ono nell’ambasciata italiana a Mogadiscio. La riceve l’ambasciato­re Alberto Vecchi.

«Voglio tenere il velo»

Quando entra nella sede diplomatic­a Silvia indossa gli abiti delle donne somale e una lunga tunica. Ha il volto coperto. le chiedono se ha desideri. Chiede di mangiare una pizza. Mentre preparano la cena le viene chiesto se vuole cambiarsi, se ha bisogno di altri abiti. Lei sorride e risponde sicura: «No, sto bene così. Adesso mi chiamo Aisha, tornerò in Italia con questi vestiti. Continuerò a tenere il velo. Ne parlerò poi con mamma». Quando scende dalla scaletta sorride e vola ad abbracciar­e i genitori e la sorella. «Sto bene fisicament­e e psicologic­amente», ripete.

 ??  ?? Sequestro
● Silvia Romano è stata rapita il 20 novembre 2018 a Chakama, un villaggio del Kenya a 80 km da Malindi, dove aveva in carico una piccola scuola per conto di una ong di Fano. La liberazion­e è avvenuta in Somalia, dopo un anno e mezzo di prigionia Le trattative con i miliziani di Al-shabab, un gruppo terroristi­co affiliato ad Al Qaeda, sono entrate nel vivo a marzo. Il pagamento del riscatto è avvenuto con la mediazione del Qatar
Sorrisi
Silvia Romano in una foto in Africa risalente a prima del suo rapimento
Sequestro ● Silvia Romano è stata rapita il 20 novembre 2018 a Chakama, un villaggio del Kenya a 80 km da Malindi, dove aveva in carico una piccola scuola per conto di una ong di Fano. La liberazion­e è avvenuta in Somalia, dopo un anno e mezzo di prigionia Le trattative con i miliziani di Al-shabab, un gruppo terroristi­co affiliato ad Al Qaeda, sono entrate nel vivo a marzo. Il pagamento del riscatto è avvenuto con la mediazione del Qatar Sorrisi Silvia Romano in una foto in Africa risalente a prima del suo rapimento

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy