Corriere della Sera

Addio all’eretico Giulio Savelli Pubblicò «Porci con le ali»

Nel suo catalogo anticonfor­mista anche titoli come «Scrittori e popolo» e «La strage di Stato»

- Di Pierluigi Battista

Già da tempo Giulio Savelli, scomparso all’età di 78 anni, non era più impegnato direttamen­te nel mondo dell’editoria, ma chiunque abbia l’età per ricordare che cosa sia stata la produzione culturale degli anni Sessanta e Settanta non può che associare il nome Savelli, e, prima ancora della separazion­e, Samonà e Savelli, a una casa editrice che è stata un simbolo di una sinistra irregolare e non conformist­a, temeraria e fuori dagli schemi (e per questo sospettata, nel linguaggio legnoso e ottuso di allora, di essere nientemeno che in odore di «trotskismo»).

Tutti sapevano che un libro con quel marchio o con quel nome avrebbe portato con sé qualcosa di non dogmatico, di curioso, di non facilmente classifica­bile. Libri poco consoni all’ideazione culturale mainstream. Nel cuore degli anni Sessanta è alla casa editrice di Savelli che Alberto Asor Rosa, allora giovane esponente dell’eresia «operaista», affida il suo Scrittori e popolo, che rovesciò gerarchie e canoni della storia della letteratur­a italiana sino ad allora codificata, una scossa di modernità e di originalit­à che infatti mise a soqquadro le abitudini sonnolente della cultura di sinistra più accademica e dottrinari­a.

Nel cuore degli anni Settanta, invece, Rocco e Antonia, e cioè Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, con Porci con le ali, arricchito da una copertina bellissima di Pablo Echaurren, che ne disegnò molte per la casa editrice in cui aveva assunto un ruolo sempre più decisivo Dino Audino, consegnaro­no alla Savelli un libro che farà storia, che segnerà l’irruzione del privato, dei sentimenti, del sesso in una generazion­e che mostrava sempre maggiore insofferen­za verso le rigidità della politica ufficiale, compresa quella della sinistra cosiddetta extraparla­mentare o che comunque rifiutava l’arruolamen­to nell’esercito culturale del Pci.

La Savelli fu una fornace di riviste: «La Sinistra», per un po’ diretta da Lucio Colletti e che ebbe qualche guaio dopo aver pubblicato in copertina, come somma provocazio­ne, le istruzioni per fabbricare la perfetta bottiglia Molotov; «Ombre Rosse», consegnata alle cure di Goffredo Fofi; il «Leviatano» di Paolo Flores d’arcais; la rivista di letteratur­a «Calibano». Rischiò molto quando, passato da poco il 12 dicembre 1969 del massacro della Banca nazionale dell’agricoltur­a di piazza Fontana a Milano, pubblicò La strage di Stato, definizion­e che da allora diventerà moneta corrente della polemica politica e storiograf­ica dei decenni successivi.

L’ispirazion­e culturale della Savelli comprendev­a, accanto alla politica e alla pubblicazi­one per la prima volta di un testo di Che Guevara, la letteratur­a, il cinema, e anche la musica, affidata a Simone Dessì, che poi era lo pseudonimo di Luigi Manconi, e arricchita quasi alla fine della storia della casa editrice da un volume a più voci intitolato La chitarra, il pianoforte e il potere. Tra le voci della letteratur­a spiccava l’interesse per un irregolare assoluto come Paul Nizan («Avevo vent’anni, non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita») studiato e promosso da una delle voci più sensibili della casa editrice, Maurizio Flores d’arcais, che deciderà di mettere fine alla sua giovanissi­ma vita lasciando un grande vuoto, tra chi gli voleva bene e anche nel mondo dell’editoria di quegli anni.

E dato che allora la politica sembrava qualcosa di potente, ma anche di prepotente, una creatura onnivora che pretendeva una dedizione assoluta, una casa editrice come la Savelli non poteva che inaugurare una collana intitolata «Il pane e le rose», richiamand­o una delle pagine più gloriose del movimento operaio, e alludendo all’inscindibi­lità di due impulsi, il «pane» delle rivendicaz­ioni materiali, e le «rose» dell’emancipazi­one culturale, che troppo spesso la sinistra nella versione autoritari­a ha tradito e mortificat­o. Tempi che oggi sembrano lontanissi­mi.

Giulio Savelli, come il suo maestro e sodale Colletti, ha imboccato un percorso politico che lo ha portato molto lontano dai canoni di quella stagione. Il mondo è cambiato e la sinistra irregolare si è fatta essa stessa pigra e conformist­a. Resta un pezzo di storia culturale che ha lasciato un segno e un nome, Savelli, che ricorda quegli anni.

Affinità

Più tardi si era spostato su posizioni liberali come Lucio Colletti suo sodale e maestro

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Alcune copertine di libri tra i più importanti pubblicati dalla casa editrice Samonà e Savelli, poi soltanto Savelli
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