I ballerini nel metrò La città che risale
Sulla cover di 7 in edicola domani otto ballerini della Scala danzano nella metro di Milano. Ricognizione per nuove convivenze urbane (a 100 cm di distanza)
Le città sono resilienti e per ora il virus ha perso la sua battaglia. La pensa così Hashim Sarkis, architetto e urbanista, direttore della Biennale di Architettura di Venezia (si aprirà il 29 agosto) che abbiamo sentito da Boston per riflettere sulla città e cercare di capire come vivremo insieme. Ora che tutto è accaduto, ora che ci siamo lasciati alle spalle mesi di reclusione, prigionieri di un virus che determinerà il corso della nostra vita ancora a lungo. Per compiere questa ricognizione abbiamo coinvolto molti personaggi, partendo idealmente da un dipinto che ritrae Milano in un periodo storico pieno di forza, energia, vitalità. È La città che sale di Umberto Boccioni, datato 1910. Nel perimetro della cornice di questo quadro una Milano in movimento, pronta a esprimere tutto il proprio potenziale creativo e produttivo. Un’ esplosione collegata a quel Futurismo che di certo ha ispirato i 48 studenti di quattro scuole importanti di arte e design che hanno partecipato all’iniziativa lanciata da 7. Obiettivo: rappresentare con un manifesto la rinascita di Milano, la «città che risale». Il risultato è uno straordinario portfolio di disegni e grafiche che mostrano una città pronta a ripartire, a risalire, appunto (alcuni dei lavori li vedete qui sotto; su Corriere.it la gallery completa). Lo stesso spirito che anima la copertina di 7, che troverete domani in edicola con il Corriere, realizzata da Luca
Locatelli su un treno della metropolitana linea rossa di Milano con 8 ballerini della Scala intenti a rispettare le regole della distanza fisica, ma in modo creativo (qui sopra, la cover e alcune immagini dal backstage).
«Stai qui» dice il bollo su cui in punta di piedi o in posa acrobatica piroettano i ballerini. «Cosa c’è di meglio della danza classica — scrive Alessandro Cannavò che ha firmato l’articolo sul progetto del nuovo “manifesto di Milano” — per esprimere attraverso le sue posizioni il valore della cura, del fatto bene, del portato a termine? Ma anche della leggerezza, della bellezza dello stare assieme alla giusta distanza?».
Il quesito (teorico e pratico) su come-vivremo-insieme lo abbiamo rivolto, poi, anche ad alcuni «addetti ai lavori». Perché ora bisogna capire quali ripercussioni porteranno nelle nostre vite i 100 cm di distanza da frapporre tra noi e gli altri, tra noi e il mondo. E così abbiamo scoperto, per esempio, che la distanza in realtà può unire invece che dividere ed essere ripensata non più come un vuoto, secondo Daniela Cavallo, docente di Marketing territoriale all’università di Verona. Abbiamo imparato da Rossana Galdini, professoressa di Sociologia urbana alla Sapienza di Roma, che non dobbiamo parlare mai di «distanziamento sociale» bensì di «distanza fisica», perché di ciò si tratta. Oppure, da Giovanni Gugg, docente di Antropologia urbana all’università Federico II di Napoli che spesso le catastrofi non trasformano la realtà ma accelerano mutamenti già in atto. Ai virus informatici globali per ora non ci abbiamo pensato, troppo presi da questo. Ma non vanno sottovalutati, suggerisce il critico d’architettura Luigi Prestinenza Puglisi. Che sia tempo, infine, di ripensare a un nuovo ruolo per l’architetto? Forse sì, suggerisce il curatore Francesco Garutti, dal suo osservatorio di Montreal dove tratta di architettura & felicità. Punti di vista d’avanguardia e riletture del passato, come le vedute di Canaletto della Venezia del 700. Da rivedere ora che Venezia sembra Serenissima come allora.