Tutti i metri delle nostre distanze
Sono cinque sotto l’ombrellone e quattro al ristorante ma per la strada diventano uno e mezzo E così corriamo il rischio di avvicinarci al caos
La scienza, dicono, non dà i numeri a casaccio. Dà i numeri ma, essendo scienza, li dà pur sempre con criteri rigorosamente scientifici. Eppure, sulla quantificazione giusta ed esatta del distanziamento sociale stabilita dalle autorità sanitarie che pure con la scienza dovrebbero avere qualche rapporto, i numeri sembrano quelli del Lotto: dipende dal caso.
Si fa presto a dire «distanza», fisica, sociale, chiamiamola pure come più ci aggrada. Ma poi i numeri ballano, le cifre non tornano, la matematica diventa un’opinione. Sanciscono, per esempio, o meglio sono sul punto di sancire, che la distanza minima tra un ombrellone e un altro debba essere fissata a cinque metri, e già qui, se si sposta il lettino o la sdraio nel gioco dell’ombra che si accorcia o si allunga nel corso delle ore e della rotazione terrestre, il calcolo diventa oltremodo difficile. Ma poi, se dalla spiaggia si va verso il ristorante o meglio al suo interno, la distanza magica, la soglia del destino che dovrebbe fissare la separazione in sicurezza degli esseri umani diventa un po’ più contenuta: quattro metri tra un tavolino e un altro, ma un metro tra chi pranza o cena attorno allo stesso tavolo, nella presunzione (socialmente del tutto irrealistica, o quanto meno distante dalla realtà) che i due commensali vivano sotto lo stesso tetto e non possano contagiarsi.
Dunque il distanziamento sociale nelle spiagge è fissato sulla misura ideale di cinque metri, quello del ristorante in quattro metri. Ma nel trasporto pubblico? Nei vagoni della metro e nei bus la distanza, sebbene protetta dall’uso delle mascherine non previste sotto l’ombrellone e al tavolo del ristorante (ma nella toilette sì), diventa invece di un metro, diciamo un quarto del distanziamento in trattoria, e un quinto di quello al mare (sempre che le onde non siano troppo alte, a parere della task force del Comitato tecnico-scientifico). Il distanziamento sociale non è dunque una questione di misure? La confusione regna indisturbata. Già nei mesi scorsi i numeri ballavano. Chi diceva che sarebbe bastato un metro per neutralizzare l’azione contagiosa delle goccioline, qualche task force ha ampliato il raggio contagioso fino a due metri, ma ipotesi più mediatrici hanno accettato la possibilità che il distanziamento ideale fosse di un metro e mezzo, che è quello che si auspica nei negozi di prossima apertura, oppure di un metro e ottanta, con quei venti centimetri in meno dei due metri che potrebbero essere salvifici per il buon mantenimento dei rapporti sociali. Il governatore ligure Toti, che è molto decisionista, ipotizza un braccialetto che suona l’allarme quando due persone violano le regole del distanziamento, ma gli strumenti eseguono ciò che gli esseri umani ordinano: e che succede se gli esseri umani ordinano misure in guerra tra di loro?
In spiaggia suona a cinque metri, al ristorante a quattro, in autobus a uno e in mezzo alla strada un metro e cinquanta? Manteniamo le distanze. Ma poi rischiamo di stare troppo vicini: vicini al caos.