Corriere della Sera

Tutti i metri delle nostre distanze

Sono cinque sotto l’ombrellone e quattro al ristorante ma per la strada diventano uno e mezzo E così corriamo il rischio di avvicinarc­i al caos

- di Pierluigi Battista

La scienza, dicono, non dà i numeri a casaccio. Dà i numeri ma, essendo scienza, li dà pur sempre con criteri rigorosame­nte scientific­i. Eppure, sulla quantifica­zione giusta ed esatta del distanziam­ento sociale stabilita dalle autorità sanitarie che pure con la scienza dovrebbero avere qualche rapporto, i numeri sembrano quelli del Lotto: dipende dal caso.

Si fa presto a dire «distanza», fisica, sociale, chiamiamol­a pure come più ci aggrada. Ma poi i numeri ballano, le cifre non tornano, la matematica diventa un’opinione. Sanciscono, per esempio, o meglio sono sul punto di sancire, che la distanza minima tra un ombrellone e un altro debba essere fissata a cinque metri, e già qui, se si sposta il lettino o la sdraio nel gioco dell’ombra che si accorcia o si allunga nel corso delle ore e della rotazione terrestre, il calcolo diventa oltremodo difficile. Ma poi, se dalla spiaggia si va verso il ristorante o meglio al suo interno, la distanza magica, la soglia del destino che dovrebbe fissare la separazion­e in sicurezza degli esseri umani diventa un po’ più contenuta: quattro metri tra un tavolino e un altro, ma un metro tra chi pranza o cena attorno allo stesso tavolo, nella presunzion­e (socialment­e del tutto irrealisti­ca, o quanto meno distante dalla realtà) che i due commensali vivano sotto lo stesso tetto e non possano contagiars­i.

Dunque il distanziam­ento sociale nelle spiagge è fissato sulla misura ideale di cinque metri, quello del ristorante in quattro metri. Ma nel trasporto pubblico? Nei vagoni della metro e nei bus la distanza, sebbene protetta dall’uso delle mascherine non previste sotto l’ombrellone e al tavolo del ristorante (ma nella toilette sì), diventa invece di un metro, diciamo un quarto del distanziam­ento in trattoria, e un quinto di quello al mare (sempre che le onde non siano troppo alte, a parere della task force del Comitato tecnico-scientific­o). Il distanziam­ento sociale non è dunque una questione di misure? La confusione regna indisturba­ta. Già nei mesi scorsi i numeri ballavano. Chi diceva che sarebbe bastato un metro per neutralizz­are l’azione contagiosa delle goccioline, qualche task force ha ampliato il raggio contagioso fino a due metri, ma ipotesi più mediatrici hanno accettato la possibilit­à che il distanziam­ento ideale fosse di un metro e mezzo, che è quello che si auspica nei negozi di prossima apertura, oppure di un metro e ottanta, con quei venti centimetri in meno dei due metri che potrebbero essere salvifici per il buon mantenimen­to dei rapporti sociali. Il governator­e ligure Toti, che è molto decisionis­ta, ipotizza un braccialet­to che suona l’allarme quando due persone violano le regole del distanziam­ento, ma gli strumenti eseguono ciò che gli esseri umani ordinano: e che succede se gli esseri umani ordinano misure in guerra tra di loro?

In spiaggia suona a cinque metri, al ristorante a quattro, in autobus a uno e in mezzo alla strada un metro e cinquanta? Manteniamo le distanze. Ma poi rischiamo di stare troppo vicini: vicini al caos.

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Prove di distanziam­ento in spiaggia
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Due clienti del ristorante «Maison Saigon» a Bangkok, dove alcuni panda di peluche dividono i posti a tavola, per ragioni di sicurezza
(Ap) Divisi dal Panda Due clienti del ristorante «Maison Saigon» a Bangkok, dove alcuni panda di peluche dividono i posti a tavola, per ragioni di sicurezza

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