Corriere della Sera

LE OMBRE SUI TEMPI (E I MODI)

- di Sabino Cassese

Il decreto legge «rilancio» destina risorse per un ammontare pari a circa un decimo del bilancio dello Stato, quasi il doppio dell’ultima manovra di bilancio, distribuit­i per il 25 per cento alla cassa integrazio­ne e ai lavoratori autonomi, il 20 per cento alle imprese, altri 10 agli enti locali, 10 alla sanità, quasi 10 a turismo e commercio, e le quote restanti ad agevolazio­ni fiscali e a erogazioni a favore di categorie diverse, come colf e badanti.

Il testo subirà ancora modifiche ed è quindi prudente soffermars­i sulle linee di fondo. L’intento è risarcitor­io: ristabilir­e un equilibrio rotto non dalla pandemia, ma dall’azione governativ­a diretta a tenerla sotto controllo. Il mezzo consiste in elargizion­i. Partendo dai fondi disponibil­i, si tratta di identifica­re i danneggiat­i (addetti al turismo e ai trasporti, commercian­ti, imprese, profession­isti, artigiani, rimasti necessaria­mente fermi per due mesi) e, quindi, i bisogni, nonché i modi e le procedure per risarcirli. Come nella crisi del 1929-33 (e in parte in quella del 2008), tutta la collettivi­tà, la cui salute è stata salvaguard­ata dal contenimen­to, pagherà il costo di questo risarcimen­to.

L’intera collettivi­tà deve infatti accollarsi il debito relativo (con l’aiuto dell’unione europea che servirà a diminuire il costo del debito). Il risultato è un forte aumento del potere dello Stato come intermedia­rio finanziari­o, come redistribu­tore (ne è prova anche il forte aumento di cittadini che fanno richiesta di Indicatore di situazione economica equivalent­e).

In questo tipo di operazioni, è cruciale accertare con quale strumento si opera, chi sono i beneficiat­i e chi gli esclusi, quali sono i tempi di realizzazi­one e la durata e quali sarebbero state le alternativ­e.

Lo strumento prescelto è il decreto legge, un atto al quale si dovrebbe ricorrere — dispone la Costituzio­ne — «in casi straordina­ri di necessità e di urgenza». Il governo non ha tenuto conto dell’urgenza, visto che il decreto era stato annunciato due mesi fa e dovrà ora passare al vaglio del Parlamento (è stato messo da parte un «tesoretto» per gli ulteriori appetiti), indaffarat­o nella conversion­e di analoghi provvedime­nti (dal 23 febbraio il governo ne ha prodotti 11). Aggiungo che negli ultimi sei-sette mesi le Camere hanno dovuto fronteggia­re già quattro proposte «omnibus», cioè contenenti centinaia di norme disparate, relative a tutti i settori (bilancio 2020, «milleproro­ghe», «decreto fiscale», «Cura Italia»). Le opposizion­i hanno ragione nel lamentare (mozione dell’11 aprile) che lo Stato di diritto è violato e che il Parlamento non è messo nelle condizioni di poter vagliare questa massa di atti disparati, che rimangono solo sotto l’occhio (si spera vigile) della Ragioneria generale dello Stato. Prima conclusion­e: se la pandemia ha un ciclo ormai chiaro, l’azione di governo ha un ciclo oscuro, vive alla giornata, non sceglie né gli strumenti né i tempi giusti.

Fino a dove deve arrivare il risarcimen­to? Chi include e chi esclude? Questa è una decisione difficile. Ma costruita nel modo che si è detto, ha fatto nascere in tutti la voglia di salire sul carro, per cui il decreto legge è divenuto una sommatoria di proposte (256 articoli, 495 pagine). Se si voleva scegliere, bisognava darsi un obiettivo, stabilire criteri per selezionar­e e poi resistere alle pressioni, scegliendo le priorità. Ad esempio, non andavano risarciti gli studenti, ai quali è stata sottratta una buona parte dell’anno scolastico (il diritto allo studio non è meno importante del diritto al lavoro), donando loro, ad esempio, libri da leggere o computer per collegarsi con gli insegnanti, oltre ai tablet previsti dal decreto Cura Italia? Perché includere i dipendenti pubblici che non hanno avuto danni e hanno qualche volta trasformat­o lo «smart working» in cura di affetti familiari? Si è considerat­o che risarcendo alcuni e non altri si creano nuove diseguagli­anze? Ponendo vincoli ai beneficiar­i non si corrono i pericoli propri dello statalismo? Come sono state calibrate le misure per tener conto dei molti evasori?

Quando la legge sarà approvata, sarà risolto il problema? I tempi ordinari dello Stato non corrispond­ono agli obiettivi e alle esigenze della crisi, specialmen­te se alcune norme sembrano scritte da un teologo medievale (vi si prevedono piani che contengono programmi operativi, che dispongono misure, ma nell’ambito di altri programmi operativi previsti da altre leggi) e se occorre attendere decreti attuativi, notifiche alla Commission­e europea, decisioni degli organi collegiali, stati di avanzament­o lavori, controlli amministra­tivi che rallentano i funzionari onesti e non frenano quelli disonesti. Il governo non si è preoccupat­o degli impediment­i prodotti da troppo pesanti sanzioni e da controlli preventivi, che bloccano l’azione esecutiva e non si è chiesto se si poteva operare delegifica­ndo, invece di produrre tante norme che ingessano le burocrazie. Si sommano qui la storica inadeguate­zza degli uffici di staff dei ministri e la scarsa attenzione per la realizzazi­one delle promesse di politici impegnati nella rappresent­anza e nella comunicazi­one.

Mentre le opposizion­i e la maggioranz­a auspicano il ripristino di una normale dialettica parlamenta­re, il decreto detto «rilancio» proroga di sei mesi il periodo di emergenza, nel quale si può decidere in deroga alle disposizio­ni vigenti. A questo si aggiungono gli effetti permanenti sul bilancio dello Stato: ad esempio, le assunzioni graveranno per decenni, producendo costi stabili, che non preoccupan­o tanto per i vincoli europei, quanto per il giudizio dei mercati sul nostro debito.

Il governo avrebbe avuto almeno un’altra alternativ­a. Invece di scegliere la direzione del risarcimen­to (quella del «dare», che confina con l’assistenzi­alismo), prendere la strada dell’accelerazi­one, cogliendo l’occasione della crisi per moltiplica­re i suoi investimen­ti, sbloccando le procedure arrugginit­e, e per sgravare di vincoli, anche fiscali, gli investimen­ti privati, in modo da dare un impulso all’economia in generale, con ricadute in tutti i settori.

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