L’avvertimento di Gualtieri che vuole evitare l’assalto in Aula
E mentre i ministri rimettevano in ordine le carte, distrutti da una lunga ed estenuante trattativa, Conte ha iniziato a esaltare il «metodo di lavoro corale che abbiamo seguito». Qualcuno nella sala del Consiglio ha sbarrato gli occhi, altri hanno preso a darsi di gomito, ma il premier imperterrito ha proseguito nell’elogio di una «impresa collettiva» che «sarà stata faticosa ma è stata produttiva. Certo, è servito un po' più tempo di quanto immaginassimo», e a quel punto tra i ministri è iniziato il pissi-pissi. Perché il ritardo da inizio aprile a metà maggio è un po’ più di «un po’ più di tempo», al punto che nel Pd il decreto Rilancio era stato ironicamente ribattezzato il «decreto quattro-stagioni», temendo di doverlo attendere oltre il 21 giugno.
Quanto al «metodo di lavoro corale», echeggiavano ancora a Palazzo Chigi le urla della sera precedente, quando un Franceschini al limite della crisi (di nervi) implorava il capo del governo di convocare immediatamente il Consiglio dei ministri per porre fine alla «figuraccia che stiamo facendo davanti al Paese». Ma Conte — in cui i diccì della prima
Repubblica vedono «l’erede che non abbiamo avuto» — replicava olimpico che «non abbiamo ancora finito il riesame di tutte le norme. E poi non ci sono Fraccaro e Bonafede». In realtà non c’era nemmeno la bollinatura della Ragioneria generale, per via delle molte voci di spesa sulle
quali mancava la copertura finanziaria.
Più che un iter tormentato, chi ha vissuto la stesura del provvedimento confida che «è stato da impazzire». È vero, come ha spiegato il premier il testo era «complesso, equivale a due leggi di Stabilità», ma la politica e i burocrati ne
Gli emendamenti Il ministro: passaggio importante, mi auguro che nessuno voglia metterlo in discussione
hanno reso caotica la gestazione. A sentire quegli esponenti di governo che hanno dimestichezza con la matematica, «al Mef e all’inps avevano sbagliato alcuni conti», questione di miliardi, tanto da far dire a uno dei maggiori rappresentanti dell’esecutivo che «la macchina della pubblica amministrazione non ha mostrato di essere all’altezza di una simile emergenza». Una sorta di chiamata di correo,vista la prova offerta dalla compagine governativa.
Dopo l’incendio sulla regolarizzazione dei migranti, ché nel Pd avrebbero sbranato il loro ministro Provenzano per certe sue «posizioni integraliste», grillini e sinistra avevano appiccato il focolaio sull’irap per le imprese, mentre nel Movimento si rincorrevano indiscrezioni (e imprecazioni) su una posta di «tre miliardi» per Alitalia che Patuanelli avrebbe portato fuori sacco. Una babele, una sfida all’ok Corral, un tutti contro tutti che visto da vicino ha fatto dire a Renzi: «Avessi fatto io un casino simile, mi avrebbero impiccato». In effetti lo spettacolo non è stato di alto gradimento al Colle.
Ma tutto è bene ciò che finisce bene. E in Consiglio è toccato a Gualtieri chiudere la porta: «Abbiamo completato un passaggio importante. Mi auguro nessuno voglia metterlo in discussione». È stato un messaggio urbi et orbi, rivolto ai ministri ma anche ai gruppi parlamentari della maggioranza, per evitare emendamenti al testo. Chissà se accoglieranno la richiesta di fare i passacarte: sono aperte le scommesse.