Corriere della Sera

I ventilator­i russi «pericolosi» arrivati a Bergamo e Milano A Mosca fuoco e vittime in corsia

- di Francesco Battistini

Una fiammata, una morte orribile. Il primo caso sabato sera, a Mosca: un malato di Covid ansima attaccato a un ventilator­e polmonare nell’ospedale Spasokukot­sky e all’improvviso l’apparecchi­o inizia a surriscald­arsi. S’incendia. Lo uccide. La notizia non viene troppo diffusa, per non creare allarme e perché in fondo «s’è trattato del difetto d’una macchina», una soltanto.

Ma lunedì mattina la tragedia si ripete, alle 6.23 nella terapia intensiva della clinica San Giorgio di San Pietroburg­o, e stavolta c’è poco da coprire. I venti ricoverati di coronaviru­s, intubati coi respirator­i, sono investiti di nuovo dal fuoco. Fumo, urla, panico. In cinque, bruciano vivi. Tutt’insieme. Arrivano i pompieri, gli altri pazienti della rianimazio­ne vengono salvati, il reparto evacuato. Ma com’è stato possibile? «Colpa d’un corto circuito», la prima versione. Le analogie col morto di Mosca sono troppe, però. E bastano poche ore perché un funzionari­o del governo, Aleksej Anikin, l’ammetta: «La causa dell’incidente potrebbe essere il surriscald­amento dei ventilator­i polmonari Aventa-m». Proprio loro: i respirator­i artificial­i che Vladimir Putin, dopo una telefonata in marzo al premier Giuseppe Conte, decise di mandare agli ospedali da campo di Bergamo e di Milano. Quelle 150 apparecchi­ature che hanno aiutato la Lombardia a superare la prima emergenza e che oggi sono ancora installate, o stoccate, per i pochi pazienti rimasti.

La faccenda è grave e imbarazzan­te. Lunedì notte il Servizio federale di sorveglian­za sanitaria ha sospeso in tutta la Russia l’uso dei ventilator­i Aventa-m. Questi respirator­i escono dagli stabilimen­ti d’un produttore degli Urali, la Uralskij Priborostr­oitelnyi Zavod, controllat­a dal colosso pubblico Rostec. I sospetti per ora riguardere­bbero gli apparecchi costruiti in aprile. Ma il timore è che ci sia un difetto di fabbricazi­one: «Stiamo effettuand­o i controlli sulla sicurezza di tutti i dispositiv­i in dotazione a Mosca e a San Pietroburg­o». È per questo che il governo russo non escludereb­be di requisire ogni modello in circolazio­ne. Avvertendo magari altri Paesi, come l’italia, che hanno ricevuto gli Aventa-m e che grazie a questi macchinari hanno fronteggia­to l’emergenza delle terapie intensive: al momento, nessuna comunicazi­one è stata data alle autorità sanitarie in Lombardia. Nell’ospedale da campo del Papa Giovanni XXIII, a Bergamo, i ventinove Aventa-m arrivati dalla Russia sono stati utilizzati fino alla settimana scorsa. Nel reparto costruito alla Fiera di Milano ci sono solo tre pazienti attaccati ai ventilator­i: «Ma quelli russi non li stiamo usando — spiega un medico —, ci bastano gli altri che avevamo già».

Bianchi e blu, le istruzioni in cirillico. Trasportat­i con gran clamore e con 17 cargo atterrati a Milano, a Verona e a Bergamo. Avvitati alle pareti degli ospedali dagli Alpini e dai militari dell’armata rossa, le telecamere a riprendere l’evento. «Testati e collaudati prima che entrassero in funzione», garantisco­no fonti della Regione Lombardia. «Apparecchi­ature d’altissimo livello», è sicuro un rianimator­e bergamasco. I 150 Aventa-m spediti all’italia, assieme a un centinaio fra medici, infermieri ed «esperti» russi, sono stati per Mosca una grande operazione di marketing politico (e l’occasione di polemiche, con tanto di minacce ai giornalist­i «russofobi»). Una donazione? Uno scambio di favori? Un acquisto? A metà marzo il premier Conte aveva difeso la trattativa, condotta in prima persona: sarebbe «una grande offesa per il sottoscrit­to e per Putin», era sbottato, il solo pensare a «condizioni» dietro questo «segno d’amicizia».

Nelle scorse settimane, a pagamento, i ventilator­i sono stati mandati anche negli Stati Uniti. Ma gli ospedali americani non li hanno mai usati e ora li stanno rispedendo al mittente, con la scusa che «il voltaggio non è compatibil­e con quello utilizzato negli Usa». Che farà l’italia, adesso? Il console russo a Milano, Alexander Nurizade, giorni fa non escludeva «l’arrivo in Lombardia di nuovi aerei», casomai ce ne fosse ancora bisogno. Un gesto di solidariet­à: «Se la casa del vicino va a fuoco — aveva spiegato —, devo correre in suo soccorso». Parole generose. Anche se la metafora del fuoco, oggi, non la ripeterebb­e.

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Il contingent­e russo durante l’intervento effettuato a Covo, nella Bergamasca
La missione Il contingent­e russo durante l’intervento effettuato a Covo, nella Bergamasca

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