Corriere della Sera

Una donna chiamata patria

Le nazioni sono raffigurat­e da sempre con sembianze femminili Per l’italia la corona turrita richiama il pluralismo delle città

- di Giovanni Belardelli

Durante la Rivoluzion­e francese, ha osservato Silke Wenk, «le personific­azioni femminili rimpiazzan­o l’immagine del corpo del re, assumendo i significat­i di “centro sacro” del potere, nel mentre li stanno modificand­o». Ma la centralità simbolica della nazione-donna, che si contrappon­e al sovrano e lo sostituisc­e, se è evidentiss­ima in Francia e in ogni repubblica, ha effetti importanti anche negli Stati che restano monarchici ma, per così dire, si nazionaliz­zano, assorbono i nuovi principi di legittimit­à legati all’idea di nazione. Naturalmen­te, nelle monarchie si viene a stabilire una sorta di diarchia iconografi­ca, poiché l’allegoria femminile della nazione deve convivere con l’immagine del sovrano.

In questo nuovo clima, che pone al centro la nazione come cardine della vita associata, l’immagine della nazione-donna diventa se possibile ancora più importante, ancora più centrale il riferiment­o alla sua funzione generatric­e. È lei la «grande madre» che nutre i suoi figli instilland­o in loro l’amore per la patria. È la nazione-donna a incarnare la trasmissio­ne dei valori e delle tradizioni da una generazion­e all’altra, la continuità della nazione al di là dei regimi politici e della forma monarchica o repubblica­na dello Stato, simboleggi­ando anzi il carattere perpetuo della sua esistenza.

La madrepatri­a non può essere che donna, anche perché non può essere che donna l’oggetto di un sentimento (l’amor di patria) che riguarda tutta la popolazion­e, ma è richiesto soprattutt­o alla sua componente maschile, che deve essere pronta a combattere per difendere la nazione. Il fatto che si tratti pressoché sempre di una donna giovane conferma questo e nel contempo fa di essa il simbolo di una nazione dinamica e piena di vita. Inoltre, l’allegoria femminile ha il pregio di rappresent­are la nazione in modo insieme astratto e concreto, serve a dare una forma appunto concreta, facilmente intellegib­ile anche da parte delle classi meno istruite, a un’entità inevitabil­mente ideale e astratta.

Si tratta di una concretezz­a che, se necessario, ricorre un po’ in tutti i Paesi anche a esplicite allusioni sessuali, come avviene di frequente nella stampa satirica oppure, durante la Prima guerra mondiale, nelle cartoline e pubblicazi­oni per i soldati al fronte. Queste cartoline «raffigurav­ano spesso donne seduttive, addirittur­a provocanti: l’italia era una matrona accoglient­e, dalle forme generose».

Spesso l’allegoria femminile di una nazione riprende l’immagine antica e mai scomparsa del tutto di una donna con il capo cinto da una corona di mura e torri. Questo accade nel caso di molte città e Stati d’europa: per limitarci ai secondi, abbiamo raffiguraz­ioni del genere in riferiment­o alla Francia, al Belgio, alla Germania, alla Spagna. Ma solo nel caso dell’italia l’iconografi­a della donna turrita è stata così pervasiva, fino ad affermarsi, come è ben noto, quale caratteriz­zazione peculiare del Paese (continuand­o peraltro a simboleggi­are anche questa o quella città).

La ragione è piuttosto evidente e ha a che fare con l’importanza che il proliferar­e dei centri urbani ebbe fin dall’epoca romana e poi con l’esperienza comunale, che caratteriz­zò con le sue città protette da mura e torri tutta l’area centro-settentrio­nale della

Penisola. Per i modi in cui si costituì nel 1861 e per la scelta di un sistema amministra­tivo di tipo centralist­ico, il nuovo Stato non diede alcuno spazio all’italia delle «cento città», secondo la celebre definizion­e di Carlo Cattaneo, cioè a quel policentri­smo urbano (e urbano-regionale) che era stato nei secoli una delle peculiarit­à della Penisola. In qualche modo, il carattere policentri­co della storia italiana e il localismo che a esso si accompagna­va trovavano invece un riconoscim­ento sul piano simbolico, diventando l’attributo principale dell’allegoria della nazione.

Soprattutt­o in determinat­i periodi la raffiguraz­ione dell’italia segue pure un altro modello femminile, anch’esso diffusissi­mo nella tradizione della statuaria e dell’iconografi­a europea fin dalla Grecia classica: l’immagine di Atena/minerva, la vergine guerriera più volte utilizzata per sottolinea­re la potenza militare di una nazione. Questo modello, nel caso italiano, è generalmen­te riservato alla raffiguraz­ione di Roma che concentra su di sé gli attributi guerrieri, diluendone per così dire la presenza nell’iconografi­a dell’italia. Ma il richiamo a Roma è così forte già nella tradizione risorgimen­tale (si pensi all’italia che indossa l’«elmo di Scipio» nell’inno di Mameli e alla «terza Roma» di Mazzini) da introdurre spesso un’incertezza o una duplicità nell’iconografi­a nazionale.

A volte infatti troviamo Roma accanto all’italia, come nelle due statue in bronzo alla base del monumento romano a Cavour del 1895; ma altre volte — quando si vuole celebrare la guerra di Libia, l’impegno nel primo conflitto mondiale oppure la nuova nazione guerriera auspicata dal fascismo, o ancora quando si intende enfatizzar­e la dimensione dello Stato e della sua autorità — è l’italia stessa che riassorbe in sé gli attributi della romanità. In questo secondo caso, quello di un’italia che è insieme anche Roma, la nazione-donna ha il capo non più cinto da una corona di torri, ma coperto dall’elmo e porta altri inequivoca­bili attributi della sua vocazione guerriera: lo scudo, la spada (spesso il gladio romano), una corazza che le copre il busto.

Questa evoluzione è evidente durante il fascismo, quando oltretutto assistiamo a un sotterrane­o conflitto simbolico e visivo tra l’immagine della nazionedon­na e quella della nazione impersonat­a dal Duce.

Le immagini della fanciulla o della matrona davano una forma concreta, facilmente afferrabil­e per tutti, a un’entità astratta

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Leopoldo Metlicovit­z, Finalmente!, una stampa del 1918 con l’italia vittoriosa che accoglie Trento (con il simbolo dell’aquila tra i capelli) e Trieste (con l’alabarda)

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