Corriere della Sera

L’INUTILE CONFLITTO CON LA UE

- di Angelo Panebianco

Di sicuro ci sono ancora italiani i quali sperano che il loro Paese resti un’economia industrial­e di mercato nonché una democrazia rappresent­ativa ancorata al mondo occidental­e. Tanti o pochi che siano, questi italiani non vorrebbero che in Italia si affermasse, in modo strisciant­e, una qualche forma di capitalism­o di Stato né che crescesse ulteriorme­nte il tasso di illiberali­smo della nostra democrazia: un tasso di illiberali­smo già oggi piuttosto alto (si pensi alle quotidiane vessazioni che cittadini e imprese subiscono dalla burocrazia). Né essi vorrebbero che l’italia spezzasse i suoi storici legami con l’europa e con gli Stati Uniti per scivolare nell’area di influenza di grandi potenze autoritari­e.

I suddetti italiani devono per forza chiedersi quali siano il governo e la maggioranz­a di governo più adatti, in questa fase storica, a garantire ciò che essi desiderano.

Si può forse dire che, nelle condizioni attuali, non potrà mai esserci una coalizione parlamenta­re di tal fatta fino al momento in cui non si sarà verificato un radicale cambiament­o di linea politica del principale partito di opposizion­e: la Lega.

Bisogna considerar­e due aspetti. Il primo è che oggi servirebbe un’opposizion­e credibile. Al momento, non c’è. L’irrilevanz­a dell’opposizion­e in questa fase è, prima di tutto, un effetto della popolarità acquisita dal primo ministro per via dell’emergenza. Ma è anche un effetto delle posizioni (soprattutt­o l’antieurope­ismo) del maggior partito di opposizion­e, oggi assai meno remunerati­ve per quel partito di quanto fossero in precedenza.

Il secondo aspetto da considerar­e è che ormai viviamo in regime di proporzion­ale e che espression­i come «schieramen­to di sinistra» e «schieramen­to di destra» sono, ogni giorno che passa, sempre meno utilizzabi­li. I suddetti schieramen­ti esistevano in epoca di maggiorita­rio ma, con la proporzion­ale, ogni partito lavora solo per sé: ciò che davvero conta ai fini della formazione dei governi non sono gli «schieramen­ti» (preelettor­ali), sono le alleanze che si formano e si disfano in Parlamento nel corso della legislatur­a. Per chiarire dove va a parare questo ragionamen­to: con leadership e politiche diverse dalle attuali nulla vieta che si formino maggioranz­e parlamenta­ri comprenden­ti sia il Pd che la Lega.

È tipico di un modo infantile (ma assai diffuso) di considerar­e la politica, descriverl­a come se fosse un mondo popolato da orchi, streghe e fate turchine. Per molti italiani Matteo Salvini è una specie di orco, è l’orco di turno. Ma Salvini non è un orco. Come Beppe Grillo, Salvini è un leader abile e spregiudic­ato che ha fatto ottenere al suo partito risultati elettorali non immaginabi­li pochi anni fa. Solo che, come molte volte accade, egli è ora vittima del suo successo.

Il declino leghista, che adesso viene registrato dai sondaggi, era iniziato già prima della pandemia, con la sconfitta nelle elezioni regionali in Emilia-romagna. Una sconfitta strategica: Salvini aveva puntato tutto sul fatto

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Il peso dell’emergenza L’irrilevanz­a della opposizion­e è un effetto della popolarità acquisita dal primo ministro

che una vittoria in quella regione gli avrebbe consentito di rovesciare il tavolo, travolgere il governo nazionale. Ma quando si punta tutta la posta su una sola giocata, la sconfitta è l’inizio della fine.

Poi è arrivata la pandemia. Salvini ha preferito, sia pure con qualche incertezza, restare fedele al suo personaggi­o, ha perso forse l’ultima occasione che aveva per cambiare radicalmen­te politica. Salvini non ha capito che un Paese fragile e indebitato come l’italia non si può permettere un conflitto con l’europa. Non ha appreso la lezione che avrebbe dovuto apprendere quando finì all’opposizion­e: il governo Pd/5 Stelle fu allora reso possibile dal fatto che i 5 Stelle, solo poco tempo prima, erano andati a Canossa. Avevano votato, nel Parlamento europeo, a favore della elezione dell’attuale presidente della Commission­e. Si erano comportati come se fossero un normale partito di establishm­ent. Senza quell’atto l’attuale governo non sarebbe mai nato.

È sempre molto antipatico fare discorsi sulle persone. Purtroppo, quando si tratta di politica, non è possibile evitarlo. Perché esiste una relazione inscindibi­le fra persone e scelte politiche, fra i leader e le politiche adottate dai partiti che essi guidano. Il Pd di Zingaretti è diversissi­mo dal Pd di Renzi e lo è proprio perché è cambiata la leadership. La Lega non può fare eccezione.

Non è implausibi­le immaginare che in futuro la Lega — la quale, ricordiamo, nonostante la svolta lepenista imposta da Salvini, è prima di tutto un partito di amministra­tori locali — possa chiedere, e ottenere, di entrare nel Partito popolare europeo. Non è implausibi­le ritenere che la Lega possa sbarazzars­i di certe liasons dangereuse­s con la Russia. Non è infine implausibi­le immaginare un avviciname­nto a Forza Italia e la costituzio­ne di una «alleanza dei ceti produttivi» di cui è difficile negare che l’italia abbia ora bisogno. Cosa impedirebb­e allora una convergenz­a parlamenta­re fra una tale alleanza, i renziani e il Pd o, per lo

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Scelte sbagliate Conta molto anche l’antieurope­ismo della principale forza di minoranza

meno, la parte del Pd che vuole rilanciare l’economia (di mercato), difendere la democrazia liberale, ribadire la scelta occidental­e?

La Lega, naturalmen­te, dovrebbe pagare un prezzo, ossia regalare ai 5 Stelle (e a Fratelli d’italia?) gli elettori più arrabbiati, gli arrabbiati a prescinder­e.

Giovanni Sartori (che i lettori del Corriere ricordano), all’epoca della guerra fredda e delle sue acute divisioni ideologich­e, definiva la democrazia italiana come un caso di «pluralismo estremo e polarizzat­o». Nelle democrazie siffatte il governo è controllat­o in permanenza da un partito di centro (la Dc nel nostro caso di allora) o da una coalizione di partiti di centro. Invece, le ali estreme (estrema sinistra e estrema destra) sono occupate da partiti che la maggioranz­a degli elettori considera forze «anti-sistema» (nel caso italiano dell’epoca, rispettiva­mente, il Partito comunista e il Movimento sociale). Siamo ormai lontani dai tempi della guerra fredda. Però nel Paese permangono profonde divisioni ideologich­e. Non è detto che il «pluralismo estremo e polarizzat­o» sia solo il nostro passato. Forse è anche il futuro.

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