«Negli aiuti rivedo l’europa delle origini»
«Nel patto sugli aiuti c’è l’europa delle origini»: così Manfred Weber, capogruppo Ppe.
«La proposta del Recovery Plan lanciata da Angela Merkel ed Emmanuel Macron è una chiara indicazione che l’europa sta tornando ai principi delle origini, ai Padri fondatori. Il riferimento alla solidarietà in Schumann era costante. Questo piano rimette l’unione sulla giusta strada». Tedesco, 48 anni, esponente della Csu bavarese, Manfred Weber è capogruppo dei deputati del Partito popolare nel Parlamento europeo.
Ma c’è l’opposizione di quattro Paesi e ci sono ancora molte cose da definire. C’è il rischio che l’iniziativa non arrivi al traguardo?
«Quando si formulano proposte così ambiziose, è normale che ci sia dibattito. Trovo positivo che perfino il cancelliere austriaco Kurz e gli altri che obiettano su alcuni aspetti del piano abbiano detto: siamo pronti a offrire solidarietà. C’è un argomento fondamentale: nessun Paese è responsabile per il Covid-19, la crisi non ha colpevoli».
Lei pensa che il Fondo debba erogare contributi o prestiti?
«Sono pienamente d’accordo con Macron e Merkel: non possiamo aiutare i Paesi e le regioni più colpite con i prestiti. Aggiungeremmo debito a quello che già hanno. Devono essere soprattutto contributi a fondo perduto. Credo però ci sia un tema ancora più importante. È decisivo investire nel futuro. Dalla crisi si esce solo guardando avanti. Per esempio, ci sono tante aziende in Italia, in Germania, in Francia che investono nel digitale. Se riuscissimo a realizzare un network 5G per l’ue, avremmo creato da un momento all’altro un mercato digitale per l’intero continente. Voglio dire che una parte importante del Recovery Fund dev’essere investita nei settori innovativi per creare crescita sostenibile».
In che modo questo sarà possibile concretamente?
«Avremo i fondi che la Commissione raccoglierà sul mercato e i soldi saranno incanalati attraverso il bilancio Ue. Dal punto di vista della procedura, ciò darà un ruolo decisivo al Parlamento europeo, che in questi anni ha formulato programmi innovativi. È importante anche sul piano della legittimità democratica, la gente deve sapere chi ha votato per cosa. Nel bilancio ci sono gli strumenti tradizionali per agire, come la politica regionale. Anche se andranno semplificate procedure e regolamentazioni. Ma credo che oltre alle risorse che devono andare ai vari Paesi, c’è bisogno di progetti simbolici, nei quali le persone possano identificarsi. In passato abbiamo fatto Galileo e Airbus. Il network 5G potrebbe essere uno di questi».
Macron e Merkel hanno detto che il Fondo dovrà concentrarsi sui Paesi più colpiti dalla pandemia. Ma se lo strumento è il bilancio Ue, si rischia di entrare nella logica
dei do ut des, in trattative senza fine con i Paesi che vogliono pagare di meno o ricevere di più. Come si evita?
Penso ci sia consenso sul fatto che i 500 miliardi di euro in più privilegino i Paesi che hanno pagato il prezzo più alto, sul piano sanitario ed economico. Lo devono capire anche i Paesi dell’europa centrale e orientale che non sono stati colpiti così gravemente dalla pandemia. Anche perché se non avessimo il fondo addizionale, ci sarebbero tagli alle risorse che loro oggi ricevono dai fondi di coesione. Dobbiamo formulare argomenti politici validi».
I suoi quali sono?
«Nessun Paese può crescere se non crescono anche gli altri Paesi amici dell’eurozona. Il mercato unico per il sistema Germania è la base, senza la quale non può affrontare la concorrenza globale. Il rischio è che la Cina sia la grande vincitrice della crisi. E l’europa deve porsi la domanda se vuole avere successo e come la Cina uscirne più forte e più tecnologica, ovvero se vuole uscirne perdente negli equilibri globali. L’altro argomento è che l’europa non può permettersi un’altra generazione perduta com’è successo dieci anni fa, quando milioni di giovani istruiti nel Sud del continente videro svanire ogni possibilità di trovare lavoro e dare il loro contributo all’economia. Dobbiamo dare alle nuove generazioni un futuro, una prospettiva economica sostenibile. È la migliore medicina contro il populismo».
Sarà questa la decisione che definirà l’eredità politica di Angela Merkel?
«Angela Merkel ha salvato il Trattato di Lisbona, evitato che la Grecia uscisse dall’eurozona e sui rifugiati, pur fra le critiche, ha difeso i valori umanitari e seguito le sue convinzioni morali. Ora ha gestito bene la crisi in Germania ed è pronta insieme a Emmanuel Macron a spingere l’europa verso un nuovo livello di sviluppo. Merkel difende
gli interessi della Germania, che è compito di ogni cancelliere tedesco. Ma allo stesso tempo è sempre stata pronta a compiere i passi necessari verso un’europa più forte e unita, tanto più necessaria di fronte alla Cina e alle tendenze isolazioniste dell’america di Trump».
I tedeschi accetteranno questa forte solidarietà finanziaria verso i Paesi del Sud?
«Il dibattito in corso in Germania è intenso e serio. La
Solidarietà Aiutare con contributi a fondo perduto il Sud più colpito: i Paesi del Nord non si salvano da soli
gente capisce che solo insieme possiamo avere un futuro positivo per noi e per l’europa. Occorre leadership politica, che risolva i problemi. Solo così possiamo battere il populismo, che non ha soluzioni e sa solo protestare. Mi accorgo che in Italia i populisti non stanno dicendo molto, mi sembrano sorpresi dai nuovi sviluppi».