I conti con il Celeste Impero
Esce oggi un saggio di Massimo D’alema (Donzelli) sulle prospettive aperte dall’emergenza pandemica Per un riassetto dell’ordine mondiale occorre un nuovo rapporto con Pechino
L’unico merito della pandemia in atto è quello di aver stimolato, in Occidente ma non soltanto, un vivace dibattito su come sarà il mondo dopo il coronavirus (se ci sarà mai un «dopo») . Chi ne trarrà vantaggio, e chi avrà invece i conti in rosso? E sarà una superpotenza unica a dettare legge nei rapporti di forza internazionali?
Accanto a tanti contributi non sempre illuminanti, esce ora in Italia l’ultima fatica editoriale di Massimo D’alema, pubblicata da Donzelli con un titolo che dice già molto: Grande è la confusione sotto il cielo. Dice molto perché l’avvertimento di Mao Zedong si adatta perfettamente ai tempi in cui viviamo, e anche perché nel lavoro di D’alema è la Cina la vera protagonista. Sapevamo che il capital-comunismo cinese era prossimo a diventare la prima economia mondiale, e sappiamo oggi che in piena pandemia la Cina è l’unico grande Paese a mantenere un indice positivo di crescita (anche se molto lontano dalle percentuali che servono a Pechino per avvicinare i suoi traguardi). Ma l’autore va oltre, perché la sua analisi, mentre colloca la Cina nell’attualità più stretta, la proietta anche verso un «mondo nuovo» nel quale tutti avranno interesse a farle giocare un ruolo di primo piano. Non in uno spirito di confronto con gli Usa come è ancora oggi, ma piuttosto in un sistema di rilancio della cooperazione e di contenimento dei nazionalismi, superando il dominio di una sola potenza e superando anche le pretese egemoniche di un unico modello culturale e politico. Un sistema che proprio il coronavirus rende ormai non rinunciabile.
La crisi, osserva D’alema, ha messo in luce i difetti e le qualità del «socialismo con caratteristiche cinesi». Il ritardo nel dare l’allarme al mondo quando scoppiò l’epidemia a Wuhan è «il prezzo pagato alla mancanza di libertà». La forza della risposta dimostra però l’efficacia di un sistema «nel quale la politica è in grado di prendere decisioni e di eseguirle», sfruttando la robustezza delle radici culturali e civili della società. Questo mentre la pandemia sembra accentuare il declino dell’occidente e del ruolo propulsivo e ordinatore dell’alleanza tra Stati Uniti e Paesi europei. D’alema cita gli errori e le imprevedibilità di Donald Trump senza far risalire soprattutto a lui la crisi transatlantica e le ricadute devastanti dell’«america first» (come farebbe invece il vostro recensore). All’autore preme piuttosto sottolineare che, mentre gli Usa sono su una china pericolosa, la Cina non è in grado di rappresentare da sola il centro di un nuovo ordine mondiale «multilaterale e policentrico». Il quale ordine mondiale, però, senza o contro la Cina non potrà nascere.
Servono allora, per salvare il mondo da una regressione che finirebbe per mettere seriamente a rischio le nostre democrazie e la pace, consapevolezze e azioni volte a governare la globalizzazione e a renderla più umana, tagliando tra l’altro le gambe a populismi che ben conosciamo. Servono più integrazione (anche in Europa) e più cooperazione. Serve aumentare le risorse degli organismi internazionali, coordinare le attività di ricerca invece di rivaleggiare sui vaccini, lottare contro la chiusura dei confini, la diffidenza e l’ostilità tra i popoli. E tradurre il tutto in politiche concrete. Dovrebbe essere l’europa, scrive D’alema, a diventare portatrice di questo pensiero illuminato che fa parte della nostra storia e civiltà. Ma i nodi che da tempo la frenano non sono stati sciolti. E «ciò che va cambiato è l’impostazione politica e culturale dell’unione, espressione di un pensiero unico liberista che è stato imposto come una sorta di verità tecnico-scientifica priva di alternative». Invece le alternative ci sono, dice D’alema, e si chiamano diritti sociali, politiche fiscali giuste, rafforzamento dell’integrazione, sviluppo che metta al centro le persone, contrapposizione intelligente ai nazionalisti «lamentosi e rancorosi».
Il libro di Massimo D’alema, fatto di riflessioni a corredo di una serie di lezioni sullo stato delle relazioni internazionali, afferma che domani il nuovo ordine mondiale non sarà più imperniato sull’occidente. Ma l’occidente resterà un protagonista imprescindibile della governance del mondo lungo l’asse di un dialogo con l’oriente che avrà la Cina come interlocutore primario.
Vorremmo concordare pienamente con l’autore, ma siamo inseguiti da due potenti campanelli d’allarme: i nazionalismi che continuano a guadagnare terreno, e gli effetti sul «nuovo ordine» che potrebbero avere le elezioni americane di novembre, tutt’altro che decise. Il grande merito di questo libro è comunque quello di rappresentare un potente stimolo alla riflessione. Anche per i pessimisti.
La sfida è costruire un sistema delle relazioni internazionali non più imperniato solo sull’occidente ma fondato su un principio di cooperazione tra soggetti diversi