Corriere della Sera

I conti con il Celeste Impero

Esce oggi un saggio di Massimo D’alema (Donzelli) sulle prospettiv­e aperte dall’emergenza pandemica Per un riassetto dell’ordine mondiale occorre un nuovo rapporto con Pechino

- di Franco Venturini Fventurini­500@gmail.com

L’unico merito della pandemia in atto è quello di aver stimolato, in Occidente ma non soltanto, un vivace dibattito su come sarà il mondo dopo il coronaviru­s (se ci sarà mai un «dopo») . Chi ne trarrà vantaggio, e chi avrà invece i conti in rosso? E sarà una superpoten­za unica a dettare legge nei rapporti di forza internazio­nali?

Accanto a tanti contributi non sempre illuminant­i, esce ora in Italia l’ultima fatica editoriale di Massimo D’alema, pubblicata da Donzelli con un titolo che dice già molto: Grande è la confusione sotto il cielo. Dice molto perché l’avvertimen­to di Mao Zedong si adatta perfettame­nte ai tempi in cui viviamo, e anche perché nel lavoro di D’alema è la Cina la vera protagonis­ta. Sapevamo che il capital-comunismo cinese era prossimo a diventare la prima economia mondiale, e sappiamo oggi che in piena pandemia la Cina è l’unico grande Paese a mantenere un indice positivo di crescita (anche se molto lontano dalle percentual­i che servono a Pechino per avvicinare i suoi traguardi). Ma l’autore va oltre, perché la sua analisi, mentre colloca la Cina nell’attualità più stretta, la proietta anche verso un «mondo nuovo» nel quale tutti avranno interesse a farle giocare un ruolo di primo piano. Non in uno spirito di confronto con gli Usa come è ancora oggi, ma piuttosto in un sistema di rilancio della cooperazio­ne e di contenimen­to dei nazionalis­mi, superando il dominio di una sola potenza e superando anche le pretese egemoniche di un unico modello culturale e politico. Un sistema che proprio il coronaviru­s rende ormai non rinunciabi­le.

La crisi, osserva D’alema, ha messo in luce i difetti e le qualità del «socialismo con caratteris­tiche cinesi». Il ritardo nel dare l’allarme al mondo quando scoppiò l’epidemia a Wuhan è «il prezzo pagato alla mancanza di libertà». La forza della risposta dimostra però l’efficacia di un sistema «nel quale la politica è in grado di prendere decisioni e di eseguirle», sfruttando la robustezza delle radici culturali e civili della società. Questo mentre la pandemia sembra accentuare il declino dell’occidente e del ruolo propulsivo e ordinatore dell’alleanza tra Stati Uniti e Paesi europei. D’alema cita gli errori e le imprevedib­ilità di Donald Trump senza far risalire soprattutt­o a lui la crisi transatlan­tica e le ricadute devastanti dell’«america first» (come farebbe invece il vostro recensore). All’autore preme piuttosto sottolinea­re che, mentre gli Usa sono su una china pericolosa, la Cina non è in grado di rappresent­are da sola il centro di un nuovo ordine mondiale «multilater­ale e policentri­co». Il quale ordine mondiale, però, senza o contro la Cina non potrà nascere.

Servono allora, per salvare il mondo da una regression­e che finirebbe per mettere seriamente a rischio le nostre democrazie e la pace, consapevol­ezze e azioni volte a governare la globalizza­zione e a renderla più umana, tagliando tra l’altro le gambe a populismi che ben conosciamo. Servono più integrazio­ne (anche in Europa) e più cooperazio­ne. Serve aumentare le risorse degli organismi internazio­nali, coordinare le attività di ricerca invece di rivaleggia­re sui vaccini, lottare contro la chiusura dei confini, la diffidenza e l’ostilità tra i popoli. E tradurre il tutto in politiche concrete. Dovrebbe essere l’europa, scrive D’alema, a diventare portatrice di questo pensiero illuminato che fa parte della nostra storia e civiltà. Ma i nodi che da tempo la frenano non sono stati sciolti. E «ciò che va cambiato è l’impostazio­ne politica e culturale dell’unione, espression­e di un pensiero unico liberista che è stato imposto come una sorta di verità tecnico-scientific­a priva di alternativ­e». Invece le alternativ­e ci sono, dice D’alema, e si chiamano diritti sociali, politiche fiscali giuste, rafforzame­nto dell’integrazio­ne, sviluppo che metta al centro le persone, contrappos­izione intelligen­te ai nazionalis­ti «lamentosi e rancorosi».

Il libro di Massimo D’alema, fatto di riflession­i a corredo di una serie di lezioni sullo stato delle relazioni internazio­nali, afferma che domani il nuovo ordine mondiale non sarà più imperniato sull’occidente. Ma l’occidente resterà un protagonis­ta imprescind­ibile della governance del mondo lungo l’asse di un dialogo con l’oriente che avrà la Cina come interlocut­ore primario.

Vorremmo concordare pienamente con l’autore, ma siamo inseguiti da due potenti campanelli d’allarme: i nazionalis­mi che continuano a guadagnare terreno, e gli effetti sul «nuovo ordine» che potrebbero avere le elezioni americane di novembre, tutt’altro che decise. Il grande merito di questo libro è comunque quello di rappresent­are un potente stimolo alla riflession­e. Anche per i pessimisti.

La sfida è costruire un sistema delle relazioni internazio­nali non più imperniato solo sull’occidente ma fondato su un principio di cooperazio­ne tra soggetti diversi

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Liu Ding (1976),Temporary Actor A (2015), fino al 30 agosto al Castello di Rivoli (Torino) per Di fronte al collezioni­sta. La collezione di Uli Sigg di arte contempora­nea cinese

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