Cultura, Parma resta Capitale città di cronisti e narratori
Il ministro Dario Franceschini ha confermato il riconoscimento per il 2021
Un giorno qualcuno lo scoprirà. Perché una ragione ci deve essere. Quella che ha fatto di Parma una terra di narratori. Di raccontatori di fatti. Di testimoni del vero. In una parola: di cronisti. Anche, e non solo, per questo la città emiliana è Capitale italiana della Cultura per questo 2020, un riconoscimento che il ministro Dario Franceschini ha deciso di prolungare fino al 2021, per l’emergenza sanitaria che ha impedito di valorizzare l’evento come meritava.
Parma e i giornali. Un legame che viene da lontano. La sua «Gazzetta» (che festeggia i 285 anni e che oggi è diretta da Claudio Rinaldi), un’autentica fucina di talenti della penna. A gennaio, e fino alla chiusura obbligata dall’emergenza sanitaria, la mostra Parma è la Gazzetta a Palazzo Pigorini ne ha celebrato la storia, raccolta nell’omonimo catalogo, a cura di Claudio Rinaldi e Giancarlo Gonizzi, edito da «Gazzetta di Parma» (due volumi per un totale di oltre 800 pagine).
Per il «Corriere della Sera», una sorta di cantera dalla quale pescare i fuoriclasse del giornalismo. Una scuola per futuri cronisti con un ingrediente che non è cambiato nel tempo: l’umiltà. I primi passi delle grandi firme hanno tutte questo tratto in comune. «Redigevo notiziole di cronaca, accorciavo un articolo troppo lungo, correggevo bozze: articoli firmati pochissimi, forse una dozzina o meno». A ricordare i suoi esordi Egisto Corradi, grandissimo reporter. Penna e cuore. E competenza. Coniugata con un’arguzia che solo lui. Come durante i giorni della Primavera di Praga, nel 1968. La censura sovietica intercettava le telefonate degli inviati dei giornali occidentali.
Egisto Corradi si fece passare Luciano Micconi, storico segretario di redazione del «Corriere della Sera» e parmigiano doc. Dettò le notizie nella lingua emiliana che solo loro due comprendevano. Riuscendo in questo modo a evitare le forbici delle spie venute da Mosca.
La scuola parmigiana era come la bottega dei grandi maestri del Rinascimento. Lì si imparava il mestiere, osservando, copiando, ripetendo. Per un giornalista il comandamento era uno solo, amplificato tre volte: «Esattezza, esattezza, esattezza», come indicava il direttore storico della «Gazzetta», Baldassarre Molossi. Insieme alla raccomandazione di scrivere chiaro, con parole comprensibili per «l’ortolana della Ghiaia» e anche di non far arrossire un professore universitario. La semplicità del grande giornalista che è un testimone di quello che vede. Niente di più, niente di meno.
Dopo Corradi, altri due inviati di razza della scuola «Gazzetta di Parma» hanno dato lustro al quotidiano di via Solferino: Luca Goldoni e Maurizio Chierici. I loro reportage da ogni angolo del mondo sono manuali da utilizzare nelle scuole di giornalismo. Goldoni, la penna brillante e caustica che ha colto vizi e virtù di un’italia facile da vedere, difficile da raccontare al di là dei luoghi comuni. Chierici, l’inviato in mezzo mondo testimone delle guerre che hanno insanguinato lo scorso secolo. Un giorno, sulla stessa pagina del «Corriere della Sera» (25 maggio 1971), firmarono in tre con lo quello stesso Dna: Egisto Corradi, Luca Goldoni, Alberto Bevilacqua.
A scrivere per il «Corriere della Sera» aveva cominciato Bruno Barilli che a leggere la biografia sarebbe, anzi è nato a Fano nel 1880. Ma la famiglia era originaria di Parma. Antesignano dei grandi inviati, un po’ avventurieri, molto scrittori. Un link prestigioso che ha segnato la storia dei due giornali.