Corriere della Sera

Con Jovanotti e Laura Pausini progettava­mo un fondo di sostegno per gli artisti, però è molto difficile Intanto ognuno protegge i suoi, io penso a 30 persone

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«E molto precisi, io vivo di parole, io scrivo parole». L’organizzaz­ione giorno fa ha detto Mondiale che questa della Sanità definizion­e qualche non va bene: ti hanno ascoltato? «Pensa eh, forse sì».

Nelle tue canzoni usi sempre parole molto semplici per raccontare storie molto complicate. Per noi che le ascoltiamo sembrano così naturali, ma ti vengono spontanee o c’è del lavoro?

«C’è dietro tutto un lavoro per cercare di sintetizza­re al massimo. Uso meno parole possibili: la sintesi è stata sempre la mia cifra, ho iniziato così negli anni Ottanta. Ogni parola è distillata».

Come succede? Ti viene in mente una parola e dici: ah come è banale questa qua, ne devo trovare una più efficace...

«No, no è tutto un lavoro che avviene nel momento dell’ispirazion­e. Quando sono in quel mondo lì penso a delle sensazioni che voglio descrivere e non penso a descriverl­e usando parole o il linguaggio italiano ma lascio venire fuori le frasi, come se venissero fuori dall’inconscio». Non è mica facile, sai come vorrei anche io far venire fuori le parole dall’inconscio.

«E infatti è quella la difficoltà di scrivere canzoni per me. Di essere in quella fase lì e di essere abbandonat­i all’inconscio, ma mantenere quel minimo di razionalit­à che mi permette di scriverle, di mettere giù una frase. A volte è una cretinata pazzesca ma quella giusta la riconosci ».

Come si raggiunge lo stato di inconscio creativo?

«È una situazione molto particolar­e. Intanto devo essere solo, per forza. E anche molto eccitato. Eccitazion­e totale, sessuale anche. Poi devi scaricarla sullo strumento, è una sorta di trasporto molto simile alla sessualità...». Quando componi hai orari regolari? Ti stacchi per pranzare?

«No, neanche per sogno. Ho bisogno di non avere orari, devo vivere in uno spazio e un luogo in cui non ci sono. Sono in un tempo sospeso, può durare tutta la notte fino al giorno dopo. E in quella fase gioco, aspetto che arrivino quelle sensazioni. Delle volte passo notti insonni senza che arrivi niente e mi sento anche molto stupido e molto inutile il giorno dopo».

Tranquillo, capita anche a noi. Siamo un po’ tutti convinti che i periodi travagliat­i siano di grande ispirazion­e per gli artisti... Mi chiedo se un periodo come questo stimoli la creatività.

«È sempre nelle sofferenze più grandi che alla fine si va a pescare quando si scrive. Solo che lo fai quando sono già passate: nel momento della sofferenza non fai niente, soffri e basta. Io soffro e basta, non è che scrivo una canzone. Magari dopo, quando è passato, ricordo quel momento e magari finisce in una canzone tutta l’intensità di quel momento lì. Però adesso sono troppo attonito, frastornat­o, allibito e incantato da questa situazione così pazzesca, da queste città vuote... una cosa allucinant­e, nelle scorse settimane sembrava di vivere in un film di fantascien­za, di quelli che abbiamo visto ma mai avremmo pensato di vivere. Sono stato anche contento di essere arrivato a vederlo: ormai ho una veneranda età, avrei potuto essere già andato da tempo. Ho bruciato la candela da tutte le parti, in effetti sono qui per miracolo».

Si vede che sei di stoppa buona.

«Eh quello di sicuro. Penso di sopravvive­re anche a questa cosa qua».

Perché sei contento di aver vissuto un momento come questo?

«Non è che sono contento, ma mi rendo conto che sono stato testimone di un evento catastrofi­co. Molti non lo hanno ancora realizzato, ma è come se fosse esplosa una bomba nucleare, una pandemia globale, mai avrei pensato di vederla».

Quando sali sul palco e hai davanti 60 mila persone, a Modena 250mila, ti senti a casa o hai strizza?

«Io mi sento a casa solo lì. Quando sono sul palco e parte la musica, ecco, tutto quadra, è tutto logico, mi lascio prendere da ogni canzone». Nessuna tensione, nessuna paura?

«Prima di salire un sacco di tensione, infatti prima bevevo molto, mi ubriacavo molto». Salivi sul palco bevuto?

«Negli anni Ottanta bevevo prima, poi ho iniziato a fare concerti perfettame­nte lucido ed è il d

Distanziam­ento sociale

Una definizion­e sbagliata: non è distanziam­ento sociale ma fisico per evitare il contagio. Questo termine sottende una disgregazi­one sociale che potrebbe anche verificars­i

Gli scienziati

Il ritorno da Los Angeles è stato un’odissea. Quando ci potremo riassembra­re? Vorrei che gli scienziati si dessero da fare un po’ di più, che trovassero questa cura modo migliore per farli, perché ti rendi conto di tutto».

Le emozioni sono le stesse di vent’anni fa?

«In un certo senso sì, perché quando canto una canzone torno dentro il momento in cui l’ho scritta e la vivo. Per cui mi emoziono, mi incazzo sul serio. Provo sensazioni fantastich­e e condivider­le con tutta questa massa di persone che provano la stessa emozione nello stesso momento è di una potenza che ti lascia atterrito».

Ti identifich­i con quello che sei? Vasco oggi assomiglia a quello che avrebbe voluto essere?

«Ah certo, Vasco Rossi, quello sul palco, quello delle canzoni sicurament­e è quello che avrei voluto essere. Nella vita diciamo che invece è un po’ più complicato. Non dico che è una frana, perché ho costruito delle cose nel frattempo, grazie anche alla Laura, una famiglia. Ma per il resto mi trovo spaesato un po’ dappertutt­o. Ogni volta, in ogni posto che arrivo mi rendo conto che con me arriva anche Vasco Rossi: ognuno ha il suo e di solito non è mai quello che sono».

La cosa che ti sorprende è: perché mi vogliono tutti saltare addosso? Quanti figli hai?

Barba e capelli L’altro ieri un primo assaggio di normalità anche per Vasco Rossi. Il rocker, 68 anni, è andato a fare visita al suo barbiere. Così recitava il post, arricchito come sempre da emoji, sul suo profilo Instagram: «Con le giuste distanze... e le mascherine. Finalmente dal parrucchie­re»

«Ma ho molto piacere quando le ragazze mi baciano, hanno cominciato a un certo punto, dopo dieci anni che scrivevo canzoni. Arrivavano e mi davano un bacio, facevo loro tenerezza».

«Ne ho tre, due sono figli biologici, nel senso che non sono cresciuti con me, sono arrivati grazie alla provvidenz­a. Poi Luca, molto desiderato».

C’è una cosa che non riesco a perdonarti: spiegami perché non ti piacciono i Beatles?

«Perché mi piacciono i Rolling Stones».

Sei un musicista: non puoi dirmi «se amo i Rolling Stones mi fanno schifo i Beatles»...

«Ma se ami i Rolling Stones ami un certo modo di fare musica; lo sberleffo, la provocazio­ne, cose che non sono dei Beatles. Non dico che le loro canzoni siano brutte, ma hanno sempre avuto l’aspetto dei bravi ragazzi».

Beh bravi ragazzi, ne hanno fatte anche loro, sono andati anche in India dal santone...

«Pensa, hanno fatto anche quello ma non me ne sono accorto. Alla gente non è arrivato questo messaggio, è arrivato quello dei bravi ragazzi».

Mica serve essere cattivi per fare bella musica

«La musica è bella ma io non l’ho mai ascoltata perché ero prevenuto, amando il rock. Ancora oggi quando vedo Paul Mccartney non mi emoziono. Mi piaceva di più John Lennon, mi sembrava uno dei Rolling Stones».

Eh, anche perché poi è morto giovane e male.

«Beh morto male, gli hanno sparato. È un punto di vista, ma ci sono modi di morire peggiori».

Morire a 40 anni è sempre un brutto modo.

«Beh chiaro, ma morire di colpo... ci farei la firma per una morte così eh».

Però non si può chiudere un’intervista così...

Pausa. Poi inizia a cantare, quasi un sussurro. «Vivere, è passato tanto tempo, vivere, è un ricordo senza tempo, vivere, senza perdersi d’animo mai e combattere, lottare contro tutto contro. E poi: vivere e sperare di stare meglio, vivere e non essere mai contento... vivere». E sorridere.

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Un selfie allo specchio dell’ascensore
In ascensore Un selfie allo specchio dell’ascensore
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Mascherina Uno dei recenti post di Vasco su Instagram: «Sono in incognito. E vado a vedere quello che succede»

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