Topi da laboratorio e paura per i figli Ecco il fronte del no Klopp: «La vita vale più del calcio»
Yoann Court, centrocampista del Brest, è l’unico giocatore che ha ricevuto lo stop preventivo dal suo club, ancora prima che la Ligue-1 francese decidesse di fermarsi in blocco: soffre di diabete di tipo 1 e quando fa jogging evita accuratamente di incrociare qualcuno, cambiando lato della strada, se serve. Il suo è un caso limite, ma il «fronte del no» è vivo e battagliero. E il sindacato mondiale dei calciatori (Fifpro) detta la linea: «Sarebbe inumano e ingiusto punire un calciatore che si rifiuta di allenarsi a causa del virus».
In Inghilterra i tempi sono ancora più dilatati che in Italia e la lista dei contrari si allunga, dopo che Aguero del City e Willian del Chelsea avevano raccontato che «la maggioranza dei giocatori non è a proprio agio con l’idea di ricominciare l’attività». A testimonianza dell’aria che tira, abbastanza pesante, Jurgen Klopp alla ripresa degli allenamenti del Liverpool ha precisato che «nessun giocatore sarà costretto a venire al campo, se non si sente sicuro nel farlo. Non vogliamo mettere nessuno in pericolo: amiamo il calcio, è il nostro lavoro ed è importante per noi. Ma non più importante delle nostre vite o delle vite degli altri».
Una presa di posizione che ha un certo peso specifico, dato che Klopp, con il titolo di campione a un passo, è quello che avrebbe maggiore interesse a ricominciare. Non a caso Troy Deeney del Watford, che da alcuni giorni esprimeva la propria contrarietà agli allenamenti, era stato accusato di temere la retrocessione, con la sua squadra al quartultimo posto.
Per chiarire il concetto — adesso che due membri dello staff e un giocatore della squadra di proprietà della famiglia Pozzo sono risultati positivi — Deeney si è dovuto quindi spiegare meglio nell’incontro virtuale di martedì fra i venti capitani della Premier League: «Mio figlio di cinque mesi ha problemi respiratori, non voglio metterlo a rischio. È chiaro che tornerò a fare il mio lavoro, ma solo quando calerà la mortalità e ci sarà più sicurezza».
Deeney non si è limitato a questo, ma ha rilanciato: «Sembra che per neri e asiatici la possibilità di ammalarsi sia quattro volte superiore. Perché non posso andarmi a tagliare i capelli fino a metà luglio, ma posso saltare in area per un colpo di testa assieme ad altre dieci persone? Nessuno mi ha risposto e allora perché mai dovrei prendermi dei rischi?».
Il suo collega Danny Rose del Newcastle (tredicesimo, a scanso di equivoci), ha alzato i toni: «Ci trattano come se fossimo cavie o topi da laboratorio. Immagino cosa dice la gente a casa: guadagnano così tanto, possono pure ricominciare a giocare. Ma mi chiedo se ne valga la pena rischiare la salute per il divertimento di qualcun altro».
Si è fatto la stessa domanda anche Michael Agazzi, portiere della Cremonese in B, ma lui si è dato una risposta, risolvendo il contratto, dopo una decisione «sofferta e ponderata», che a quasi 36 anni potrebbe essere definitiva: «Il mio amato calcio è passato in secondo piano. Credo che le società, pur facendo il massimo sforzo per lavorare in sicurezza, non riescano a garantire al 100 per cento la tutela della salute. E questo mi spaventa». Molta paura aveva anche Fali del Cadice, unico in Spagna a rifiutarsi di tornare, poi però ci ha ripensato. Invece due squadre in blocco, Rayo e Elche hanno inizialmente detto no agli allenamenti: nessun particolare timore per il virus, più semplicemente non volevano lavorare gratis.