«Skam 4», la serie che sfugge al rischio di un racconto patinato
La prima impressione che si prova abbordando il quarto atto di Skam Italia è di trovarsi davanti alla stagione della maturità. La serie, remake di successo di un prodotto norvegese della tv pubblica, condensa in sé gli aspetti migliori che contribuiscono a definire un genere complesso come il teen drama, trovando un punto di equilibrio tra divertimento e problematiche giovanili, tra leggerezza e inquadramento di contesti sociali in evoluzione (su Timvision e Netflix).
Il focus di questa stagione si sposta su Sana (Beatrice Bruschi), la ragazza di origine musulmana del gruppo di amici romani che, da outsider e spalla, si trasforma in motore dell’intera narrazione. Il tormento costante di un’adolescenza in bilico tra la sua «parte tunisina» e quella italiana, il compromesso tra responsabilità ed evasione sono tutti elementi che la mano di Ludovico Bessegato (regista, sceneggiatore e produttore, raro esempio di showrunner all’italiana) fa emergere con delicatezza e profondità senza disperdere la naturalezza del personaggio e delle sue relazioni. Basta una scena sul finire del primo episodio — quando nel bel mezzo di una festa con musica a tutto volume, Sana si rifugia in una stanza, trova un tappeto di fortuna e con l’aiuto di una app sul telefonino individua la direzione in cui effettuare la preghiera — a tratteggiare il mondo di Skam e il suo universo narrativo.
I molteplici conflitti di Sana rappresentano l’architrave di un racconto che si snoda in dieci episodi di venti minuti, favorendo una visione tutta d’un fiato. Sfrondata dagli elementi transmediali che ne avevano caratterizzato le origini (rimangono comunque i post social e i messaggi Whatsapp a scandire la narrazione), la quarta stagione, sempre prodotta da Cross Productions con Timvision e la partecipazione di Netflix, sfugge al rischio di un racconto patinato, mantenendo fede alla propria fisionomia.