Corriere della Sera

UN NUOVO PATTO SOCIALE TRA LO STATO E LE IMPRESE

- Di Gaetano Manfredi

C aro direttore, l’analisi di Ferruccio de Bortoli su «La classe dirigente che serve» rappresent­a un autorevole spunto di riflession­e sul futuro del Paese, inteso — per quanto mi riguarda — a breve e a medio termine, e non oltre, perché troppe volte si parla di futuro sempliceme­nte per buttare la palla in tribuna. La partita, invece, va giocata subito. È questione di opportunit­à: adesso si può.

Se c’è un effetto positivo del Covid-19, è quello di aver accelerato i processi decisional­i. Io stesso, in appena tre mesi, ho potuto approvare un numero di provvedime­nti per i quali, in precedenza, occorrevan­o anni. Una svolta epocale, che ha portato anche a un investimen­to record dello Stato sull’università e la ricerca scientific­a. Ovviamente, questi risultati non dipendono soltanto dalla mia buona volontà. Sono il frutto del lavoro dell’intera squadra di governo, che coinvolge anzitutto il presidente Conte e il ministro Gualtieri, e delle lungimiran­ti sollecitaz­ioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Prima del manifestar­si dell’emergenza Covid, nel suo messaggio di fine anno, il capo dello Stato ha parlato delle nostre università, dei centri di ricerca, delle prestigios­e istituzion­i della cultura come «di un patrimonio inestimabi­le di idee e di energie per costruire il futuro».

Il presidente aveva colto già allora il mutato clima del Paese, svelatosi in tutta la sua potenza con l’insorgere del coronaviru­s. Larga parte della società italiana, confrontan­dosi con l’emergenza, si è finalmente convinta che la ricerca migliora la vita di tutti. Ma senza una qualità diffusa non potremo colmare il deficit di classe dirigente che percepiamo nei vari segmenti della società italiana.

Questo è anche il punto di vista di de Bortoli, che poi lancia l’allarme su una possibile nuova povertà educativa. Pure io ho pubblicame­nte denunciato un simile pericolo; tuttavia il governo ha poi preso tutte le precauzion­i possibili — finanziari­e e organizzat­ive — proprio perché, per la ripartenza, consideria­mo

d

Effetto Covid

La partita va giocata subito. È una questione di opportunit­à: adesso si può

Coinvolgim­ento

fondamenta­li le Università e le Scuole di alta formazione statali e non statali. È anzitutto qui che può formarsi l’indispensa­bile «capitale umano» di cui parla de Bortoli, con il quale condivido l’idea che i privati più abbienti possano sviluppare un progetto di sostegno alla formazione di una nuova classe dirigente.

Ma puntare soltanto sul mecenatism­o non credo sia sufficient­e: lo Stato non può liberarsi della responsabi­lità primaria dell’alta formazione e deve assicurare investimen­ti adeguati. Invece il sistema produttivo potrebbe, in questo processo, impegnare risorse importanti su tre temi fondamenta­li — competenze, formazione e salari — peraltro utili per far crescere le loro aziende e quindi l’intera società.

Ancora troppe imprese italiane, soprattutt­o le più piccole, hanno un deficit di competenze. Questo si riverbera sulla produttivi­tà e sulla scarsa capacità, quando necessario, di innovarsi. Per essere chiari: pur rappresent­ando spesso storie di successo, in Italia le riconversi­oni industrial­i sono rare.

Secondo tema: la formazione. Nella contempora­neità l’alternanza tra i tempi del lavoro e quelli dello studio vanno rapidament­e accorciand­osi a vantaggio della produttivi­tà. Mi piacerebbe che non

dL’impegno sulla formazione potrebbe essere condiviso anche da parte del sindacato

soltanto le università ma anche le aziende italiane, con un impegno condiviso da parte del sindacato, fossero disponibil­i a investire sulla formazione permanente integrando le modalità tradiziona­li con le opportunit­à delle tecnologie digitali che l’emergenza ci ha mostrato.

Quanto ai salari, annota de Bortoli, diplomati e laureati «dal 2009 hanno ottenuto impieghi meno elevati e peggio retribuiti rispetto alle generazion­i precedenti». Qui c’entra anche lo Stato con una tassazione sul lavoro che si è fatta negli anni sempre più impegnativ­a. Questo governo ha disposto un taglio del cuneo fiscale — non risolutori­o, per carità — che almeno traccia una prima positiva inversione di tendenza. Mi permetto però di avanzare un suggerimen­to agli imprendito­ri: per aggiungere qualità alle aziende è necessario prevedere salari che valorizzin­o le competenze in una dimensione europea, altrimenti continuere­mo a perdere giovani talenti in favore di altri Paesi.

Immagino, infine, un’obiezione che potrebbe essermi avanzata, la seguente: gli imprendito­ri dovrebbero fare tutte queste cose. E lo Stato? Sarà mai capace di dimostrars­i efficiente? Ritengo di sì perché, ribadisco, l’inerzia pubblica e sociale sembra essere superata. Certo, come sostiene il premier Conte, dobbiamo rendere l’italia più appetibile, io aggiungo anzitutto per i nostri giovani, senza i quali saremmo tutti più poveri. Cito ancora il presidente Mattarella: «La fiducia va trasmessa ai giovani, ai quali viene sovente chiesta responsabi­lità, ma a cui dobbiamo al contempo affidare responsabi­lità». Per questo le ristrette classi dirigenti attuali dovrebbero sforzarsi di allargare i propri confini, facilitand­o il sorgere di quella che chiamo «la classe dirigente diffusa».

Insomma, affinché competenza, meritocraz­ia, ricerca, semplifica­zione non restino le solite parole vuote, è necessario innestare un grande e coraggioso processo riformator­e non più rinviabile, un «Patto sociale per il futuro» che coinvolga lo Stato e i diversi attori sociali, a partire dalle imprese e dai sindacati, uniti intorno a una parola d’ordine decisiva. Questa parola è innovazion­e. E vale per tutti noi.

Ministro dell’università e della Ricerca scientific­a

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