Corriere della Sera

Spari e morti nelle città Usa Soldati pronti

Scontri ovunque, due morti. Trump ai sindaci: «Siate più duri». Pronto l’esercito

- Di Giuseppe Sarcina Muglia, Soave

Divampa la protesta dopo l’uccisione, a Minneapoli­s, dell’afroameric­ano George Floyd, per mano di un poliziotto. Trump: cani contro i dimostrant­i.

La East Lake Street non è più un’anonima e rassicuran­te strada commercial­e, con le sue banche, il supermarke­t e le catene di fast food. Sembra, invece, una lunga cicatrice scura, il segno lasciato da una scudisciat­a crudele. Il Terzo Distretto di Polizia è meta di un surreale pellegrina­ggio. Molte persone, di tutte le età, superano il cancello divelto, si appoggiano ai muri bruciacchi­ati ed entrano a contemplar­e il risultato della «prima notte di Minneapoli­s», tra martedì e mercoledì scorsi, quando la polizia lasciò campo libero ai piromani.

Il governator­e del Minnesota, il democratic­o Tim Walz è certo: «Quello che sta accadendo a Minneapoli­s non ha più niente a che vedere con le proteste per la morte di George Floyd». Il governator­e, il Dipartimen­to di Polizia sostengono di avere le prove che «l’80% dei violenti viene da fuori». Ci sarebbero forze, agitatori organizzat­i con piani e obiettivi che non hanno nulla a che fare con l’indignazio­ne per gli ultimi otto minuti nella vita di George, schiacciat­o sotto il ginocchio e i 90 chili di Derek Chauvin, ex poliziotto ora in galera con l’accusa di omicidio colposo. La famiglia ha chiesto un’autopsia indipenden­te, perché non è soddisfatt­a del referto medico che non stabilisce una correlazio­ne diretta tra l’azione violenta di Chauvin e la morte per asfissia.

Tra i manifestan­ti, aggiungono le autorità, «si sono infiltrati gruppi di suprematis­ti bianchi».

Ieri mattina Minneapoli­s emerge a fatica da un’altra nottata di fiamme. Ed esattament­e come aveva fatto il giorno prima, il governator­e Walz si getta all’inseguimen­to di uno scenario che finora non è riuscito a controllar­e. Non è servito a nulla il coprifuoco imposto dalle 20 alle 6 di mattina. E i militari della Guardia Nazionale che avevano preso posizione nel pomeriggio, si sono defilati non appena è calato il buio. Hanno osservato da lontano altre distruzion­i, altri incendi.

Adesso Walz rilancia e mobilita la Guardia Nazionale «a pieno organico»: praticamen­te in assetto da guerra. Il governator­e è nella posizione più scomoda che si possa immaginare. Le pressioni sono tremende. Il Pentagono ha fatto sapere di essere pronto a mandare l’esercito e squadre specializz­ate nella guerriglia urbana. Minneapoli­s come Bagdad, scrivono molti giornali. Forse un’esagerazio­ne, anche se colpisce vedere i blindati presidiare gli incroci, con i soldati in tuta mimetica. Il vero problema, se mai, è che in tante altre metropoli americane la tensione si sta avvicinand­o a quella di Minneapoli­s. L’altra notte a New York diversi feriti tra manifestan­ti e agenti. A Brooklyn un uomo è stato arrestato per tentato omicidio dopo aver lanciato una bottiglia molotov contro una pattuglia della polizia. Ad Atlanta ore di micro guerriglia e un paio di macchine incendiate davanti alla sede della Cnn.e poi Dallas, Philadelph­ia, Los Angeles, Phoenix, Denver. Praticamen­te proteste ovunque.

A Washington, Donald Trump ha commentato i disordini dell’altra sera davanti alla Casa Bianca. Diverse centinaia di giovani hanno impegnato per qualche ora i servizi segreti schierati a protezione della residenza presidenzi­ale. «Se avessero superato il recinto — ha twittato Trump — avrebbero trovato cani feroci e armi micidiali ad accoglierl­i». A sindaci e governator­i: «Siate più duri».

Tuttavia, viste dal campo le cose non stanno esattament­e come le descrive il governator­e Walz. È vero che la stragrande maggioranz­a dei dimostrant­i, qui a Minneapoli­s, come altrove, continua a riversarsi per le strade spontaneam­ente, con i cartelli disegnati a casa con i pennarelli. Spinti dalla rabbia, dalla frustrazio­ne. Si raccolgono con i social, le chat oppure sempliceme­nte con il passaparol­a all’antica, come ci raccontava l’altra sera Brenda, una giovanissi­ma afroameric­ana che ha guidato almeno un centinaio di coetanei nei cortei di Washington.

Le marce, i sit-in sono onde increspate, imprevedib­ili. C’è chi si limita a gridare gli slogan. «No justice, no peace», il più ricorrente. Ma molti ragazzi e ragazze si spingono fino al limite della provocazio­ne. Premono sui cordoni degli agenti. Agitano il dito medio a dieci centimetri dalle visiere, dagli scudi. Fanno vibrare le transenne, le strappano dalle mani dei poliziotti. Li sfidano a usare lo spray urticante. Rispondono lanciando gavettoni.

Nella prima linea, però, ci sono anche altre figure più inquietant­i. Piccole frange di afroameric­ani, vestiti di nero, in passamonta­gna. Aggressivi con tutti. Alcuni impugnano mazze rudimental­i. Altri bottiglie molotov o petardi molto potenti. Chi sono? Sono «gli agitatori» di cui parla il governator­e Walz? Ma allora non ci sono solo «i suprematis­ti bianchi».

E chi sono, invece, gli assassini che sparano dalle auto in corsa? Ieri hanno fatto due vittime. A Detroit un giovane di 21 anni è stato colpito da colpi di pistola esplosi da sconosciut­i a bordo di un Suv con i finestrini schermati. A Oakland, in California, qualcuno ha sparato da una macchina in velocità contro due agenti federali, di guardia all’edificio del Dipartimen­to della Sicurezza interna. Uno è morto, l’altro è ferito gravemente.

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Un manifestan­te e una guardia nazionale si affrontano nelle strade di St.paul: proteste dopo la morte dell’afroameric­ano George Floyd
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(Ap) A Washington Manifestaz­ioni su Pennsylvan­ia Avenue

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